I tre anelli magici di Venezia: le leggende dei monili che hanno fatto la storia della Serenissima

Lunedì 23 Agosto 2021 di Pieralvise Zorzi
I tre anelli magici di Venezia: le leggende dei monili che hanno fatto la storia della Serenissima
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Le vicende dei monili che hanno fatto la storia e la leggenda della Serenissima. Formule magiche, riti religiosi e politici per sottolineare il culto e anche l'indipendenza della città dal Medioevo in poi nei rapporti soprattutto con il Pontefice Dal miracolo dell'urna che si sgretola con le reliquie di San Marco alla celebre rappresentazione dello sposalizio del mare

Con buona pace di J.R.R. Tolkien (che ho scoperto con disdetta pronunciarsi Tolkìin, secondo le fantastiche non-regole della lingua inglese), Venezia è stata la prima ad avere non uno ma ben tre anelli magici. O meglio sacri, perché due su tre arrivano dalle mani dall'Evangelista Marco, dominus et patronus di Venezia, e uno da quelle di papa Alessandro III.

Qual è il più importante? Tutti. Perché tutti comunicano qualcosa di decisivo per Venezia. 


PER IL PATRONO

Il primo, il più antico, si materializza in un momento cruciale. È il 1094, San Marco è stata appena ricostruita nove Dogi dopo l' incendio del 976 che aveva distrutto chiesa, Palazzo e gran parte di Venezia fino a Santa Maria Zobenigo (del Giglio ndr). È il momento di riconsacrare la chiesa ma, orrore! Nessuno sa dove siano finite le reliquie. Le ha nascoste San Pietro Orseolo? Sono bruciate? Le hanno trafugate? Sgomento. Panico. Che fare? Preghiamo. Il Patriarca indice una grande processione e un triduo di preghiera e digiuno. Per tre giorni il Doge Vitale Falier, il popolo, i nobili e tutto il clero sono in chiesa a sudare e pregare quando improvvisamente una colonna fatta di pezzi diversi tenuti assieme, probabilmente un resto della prima San Marco, si sgretola ed appare l'urna con le reliquie. Questo nella cronaca breve del Dandolo ma nel trecentesco manoscritto Dolfin la storia è diversa: dalla colonna esce il braccio dell'Evangelista con al dito un anello d'oro da vescovo. Si tenta di sfilarlo ma l'Evangelista ritira nella colonna braccio, mano e anello. A questo punto Domenico Dolfìn della Ca' Granda, conseier appresso il doxe, piange, prega, promette di guarire con l'anello gli infermi e il Santo finalmente se lo lascia sfilare. Veramente una cronaca parallela racconta che il Dolfin, primo a notare il braccio e non essendo chi lo vedesse, li cavò l'anello del ditto ma comunque sia andata, l'anello viene portato a Ca' Dolfìn. Dopo vari miracoli, il 22 Agosto 1509 viene venduto da Lorenzo Dolfin alla Scola Granda di San Marco per cento ducati (o donato per riscattare un prestito). Da allora la celebrazione del 25 giugno, in memoria di quando San Marco, come scrive il Sanudo, aparse in una colona a la capella di S. Lunardo et messe il brazo fuora già festa ufficiale dal dogado di Renier Zen, diventa centrale per la Scola Granda di San Marco, compiendo il passaggio tra reliquia privata e reliquia pubblica, quindi di Stato. Il rito si interrompe bruscamente il 3 settembre 1574: l'anello viene trafugato assieme ad altri preziosi da un ladro sacrilego, Nadalìn da Trento, che confesserà di averlo fuso e venduto il metallo ad un battiloro a San Lio per otto ducati e qualche spicciolo. Nadalin verrà appicato e brusato ma l'anello non c'è più. Intorno a questo momento potrebbe essere stato commissionato il telero del Tintoretto che ha per soggetto il Miraculum de anulo beati Marci. Insomma, perduto l'anello la Confraternita sembra aver voluto eternare il proprio legame personalissimo col sacro simbolo. 


IL PAPA

Il secondo anello compare nel 1177, dalle mani di papa Alessandro III a quelle del doge Sebastiano Ziani in occasione della Pace di Venezia. Il papa non arriva come un saccopelista come vuole una leggenda ma viene trionfalmente accolto a Venezia il 24 Marzo 1177. Quando Federico Barbarossa si inginocchia nel nartece, Obone da Ravenna ci fa un gustoso quanto improbabile reportage: il papa gli pone il piede sul collo, pronunciando il 13° versetto del Salmo 90 Super aspidem et basiliscum ambulabis (camminerai sull'aspide e sul basilisco). Barbarossa gli sibila: Non tibi sed Petro (non a te ma a Pietro mi inchino). Il papa lo fredda: Et mihi et Petro. (A me e a Pietro). Il papa copre il Doge di doni, che però hanno un significato di dedizione alla Chiesa di Roma, specie il Pileo e lo Stocco come Defensor Ecclesiae e gli otto vessilli, crociati fino alla fine del 200. Quindi pareggia i conti con l'Ombrella, che fa del doge un capo di Stato pari a sé ed all'imperatore (che difatti è seccatissimo: Parmi stranio, commenta) e soprattutto un anello con cui il Doge ogni anno farà suo il mare con la formula Desponsamus te, mare, in signum veri perpetuique dominii. Il mare è la sposa, Venezia è lo sposo: è da allora che l'Adriatico diventa di fatto il Golfo di Venezia. Cosa che non andrà giù ad un altro papa, Alessandro VI Borgia, che alla domanda stizzita di dove fosse scritto riceve dall'ambasciatore Girolamo Donà la secca risposta Sul retro della Donazione di Costantino, Santità.


IN LAGUNA

Il terzo anello è più leggendario che mai. Notte del 15 febbraio 1340. Nella tremenda inondazione (storicamente documentata) che assale Venezia, un pescatore si ripara sotto il Ponte della Paglia quando appare un uomo anziano riccamente vestito che lo convince a portarlo a San Giorgio, dove imbarcano un guerriero in armi. Prossima tappa il Lido, dove li aspetta un vescovo. Caricano anche lui e passano le bocche di porto: in mare c'è una nave nera piena di demoni, con al timone Satana in persona. I tre passeggeri, che altri non sono che San Marco, San Giorgio e San Niccolò, tracciano un segno della Croce e nave e tempesta spariscono. Al ritorno a Venezia San Marco consegna al pescatore un anello e gli ordina di portarlo al Doge, che lo riceve con somma meraviglia. Bella leggenda, creata per sottolineare l'indipendenza della Chiesa veneziana da quella di Roma. Infatti l'anello del pescatore di San Marco è in diretta contrapposizione con l'anulus piscatorius di San Pietro, indossato dal papa. Venezia-Roma, uno pari. Sorpresa: c'è un quarto anello oggi nel Tesoro di San Marco, in una teca di argento e cristallo di rocca, inventariato col n. Santuario 48, Età Medievale, Reliquiario, anello con rubino, sostenuto da un angelo, in una teca sorretta da ricca montatura gotica. Da dove salta fuori? È quello trecentesco? È un falso strategico? Se è vero, come si è salvato dalle ruberie napoleoniche? Forse proprio perché è vero, vetro, ed ha beneficiato del furbo traduttore che leggendariamente aveva salvato la Pala d'Oro: alla domanda C'est tout vrai? aveva tradotto la risposta Sì, xe tuto vero in C'est tout verre.

 

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