VENEZIA - Il pasticcio degli aiuti di Stato.
LA CONDANNA
Tutto comincia con le norme statali che nel 1995 e nel 1997 permettono agevolazioni previdenziali nell’assunzione di personale. Ma per la Commissione europea si tratta di misure non compatibili con il mercato comune. Così la Corte di giustizia nel 2011 impone all’Italia di recuperare le somme erogate e nel 2015, riscontrando un inadempimento in tal senso, condanna lo Stato a versare subito 30 milioni, più ulteriori 12 milioni per ogni semestre di ritardo nell’ottemperanza alla sentenza. A distanza di tempo, in Veneto restano da restano da incamerare circa 2,4 milioni, dei quali però 2,2 sono relativi a società fallite. Di fatto potrebbero essere rintracciati solo 170.000 euro, all’epoca incassati da due ditte del vetro di Venezia e due imprese della pesca di Chioggia, in tutto quattro realtà che però adesso sono gravi in difficoltà economiche a causa del caro-energia. Quindi siccome le aziende non riescono a restituire quei soldi, i contribuenti devono continuare a sborsarne ogni anno 141 volte tanti.
LE RISORSE
Dagli atti consiliari risulta che la Commissione europea abbia chiesto allo Stato italiano di chiudere questa vertenza. Come? Invitando la Regione a mettere a disposizione i fondi per il supporto alla liquidità delle imprese, previsti inizialmente per l’emergenza Covid e successivamente per la crisi scatenata dalla guerra fra Russia e Ucraina. La giunta Zaia predispone allora un progetto di legge che stanzia un importo fino a 500.000 euro, tratti dalle risorse gestite da Veneto Sviluppo. Quando il provvedimento arriva nelle commissioni Economia e Bilancio, tuttavia, i giuristi evidenziano dei possibili profili di illegittimità. Grazie alla deroga “bellica” è possibile dare nuovi aiuti di Stato a ditte che hanno ottenuto aiuti di Stato illegali, ma bisogna farlo con uno strumento di portata generale e cioè destinato a tutte le ditte venete (quindi non solo a quelle quattro), il che costerebbe però almeno 100 milioni. In caso contrario potrebbe configurarsi uno «sviamento di potere nell’esercizio della funzione legislativa». Il timore che serpeggia fra i consiglieri, anche leghisti, è di poter essere chiamati a risponderne personalmente davanti alla Corte dei Conti. Non a caso i dem non partecipano al voto. La maggioranza prova comunque a tirare dritto, finché nella seduta consiliare di oggi viene annunciato lo slittamento a fine mese. «Prima di tornare all’esame di questo progetto di legge, sarà opportuno stralciare ogni passaggio che porterebbe, e non sarebbe purtroppo la prima volta, ad impugnazioni e ricorsi», avverte Giacomo Possamai, capogruppo del Pd, insieme al resto delle opposizioni.