«Un rene da 40 anni, il dono di Natale»

Domenica 30 Dicembre 2018 di Gabriele Pipia
Vasco Belcaro, al centro, con Bertilla Troietto e Sergio Zaramella dell’Aido
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PADOVA «Faremo tutto il possibile ma non sappiamo se riuscirà a salvarsi» dissero i primi medici che lo visitarono, con espressione cupa, in quella terribile estate del 1978. «Potrà avere circa dieci anni di vita» spiegarono pochi mesi dopo, all’uscita dalla sala operatoria, i luminari di una clinica specializzata a Bruxelles. Quarantanni dopo, invece, Vasco Belcaro è ancora qui. Ha 64 anni, una camminata claudicante e un borsello pieno di pastiglie, ma porta sempre con sé anche un sorriso pieno di gratitudine. Padovano, originario di Este, alla Vigilia di Natale di quarant’anni fa venne sottoposto ad un delicatissimo intervento per un trapianto di rene, dopo esser piombato improvvisamente in coma e aver visto la morte in faccia. Aveva 24 anni e la sua unica speranza era un organo donato da un ragazzo tedesco morto in un incidente stradale. Oggi, invece, è lui stesso un simbolo di speranza.
A raccontare questa storia, con gli occhi pieni di meraviglia e stupore, è la presidente nazionale dell’Aido, la veneziana Flavia Petrin.
 
«Questo importante traguardo raggiunto da Vasco - spiega - deve far riflettere tutti noi. Un semplice sì gli ha permesso di vivere una vita piena». Se non è un record, poco ci manca: «Fino a pochi anni fa per i trapianti di rene le aspettative di vita erano mediamente di 13 anni, ora la situazione è migliorata - evidenzia l’associazione dei donatori di organi -. Ma vivere quarant’anni dopo un trapianto simile è qualcosa di eccezionale. Un fatto rarissimo». 
La sezione veneziana dell’Aido è guidata da Francesco Lorenzon e gli iscritti sono 29.843. Le dichiarazioni di volontà per la donazione, invece, sono 74.117 e questa è la terza provincia in Veneto dietro Vicenza e Verona. La storia di Vasco, quindi, può essere uno stimolo ulteriore per questi donatori e per chi ancora non lo è. 
LA TESTIMONIANZA
«Avevo 23 anni e lavoravo come decoratore di ceramiche quando ho avuto un improvviso blocco renale causato da un’infezione - racconta ora Vasco guardando negli occhi la figlia, che all’epoca aveva solamente pochi mesi -. Venni ricoverato d’urgenza a Padova, entrai in coma e il dottor Agostino Naso fu il primo a salvarmi la vita. Mi svegliai al mattino seguente e chiesi un bel piatto di pastasciutta, ma il calvario era appena iniziato». 
LA SVOLTA
Seguirono, nei mesi successivi, i contatti con diversi specialisti e poi la scelta decisiva: il trapianto di rene da effettuare alla clinica Saint-Luc di Bruxelles. «Era l’unica alternativa per continuare a vivere» spiega oggi Vasco, emozionandosi. Il costo? Cento milioni di lire. Collaborarono anche gli amici della parrocchia di Schiavonia d’Este, con una colletta. 
La svolta il 20 dicembre, con la tanto attesa telefonata dal Belgio: «C’è un rene compatibile a disposizione». Era quello di un coetaneo di Monaco di Baviera, morto in un incidente stradale. «Il 22 dicembre ho subìto l’intervento - ricorda - e sono uscito dalla sala operatoria il giorno prima di Natale». Impossibile dimenticare il sorriso del dottor Alexandre: «È arrivato Gesù bambino, ti ha portato il rene nuovo. Speriamo duri a lungo». Già, quanto? «Mi avevano dato dieci anni di vita - assicura Vasco -, ma io avevo una moglie e due figlie piccole. Ho sempre pensato solamente a vivere, a niente altro». 
Per altri due anni Vasco è tornato a fare il decoratore, poi è stata la moglie ad iniziare a lavorare. «Io - sorride - facevo il bambinaio». E i problemi fisici? «I primi vent’anni sono sempre stato bene, poi sono subentrati alcuni acciacchi e nel 2007 ho pure avuto un infarto. Ma il rene ha sempre funzionato al meglio». 
IL RAMMARICO
Da quel giorno Vasco non ha più smesso di pensare al suo donatore. «Purtroppo non ho mai potuto conoscere i genitori di quel ragazzo, la legge lo vieta per motivi di privacy. Una parte di lui continua a vivere dentro di me: mi sento metà tedesco e quando giocano Italia-Germania non so per chi tifare». C’è qualcun altro da ringraziare? «Sono stato costantemente monitorato dai medici padovani, ma devo dire grazie anche alla mia famiglia e ai miei compaesani». 
Anche la presidente regionale di Aido, Bertilla Troietto, ascolta la storia con grande soddisfazione: «All’epoca il Belgio era all’avanguardia nei trapianti, poi sono stati fatti passi enormi anche in Italia. Ora non serve più andare all’estero». Vasco, intanto, annuisce e sorride ancora: «Mia moglie, infatti, ora è iscritta all’Aido». Un altro modo per dire grazie. 
 
Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 09:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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