Venezia, i residenti aprono le case agli attori per rinascere dall'acqua alta

Sabato 22 Febbraio 2020 di Riccardo Petito
I residenti a teatro nelle case per l'acqua alta
VENEZIA - Una giovane coppia veneziana di professionisti, con il loro figlio, e un appartamento colpito dall’eccezionale acqua alta dello scorso novembre. Proprio nella loro dimora, Casa Fullin ovviamente dal cognome di famiglia, prenderà vita oggi dalle 16 alle 18, la seconda performance dei laboratori di “teatro di cittadinanza” portati avanti dal regista Mattia Berto con attori “over 70” (precisamente dai 25 ai 70 anni) per il Teatro Stabile del Veneto: al civico di Dorsoduro, a pochi passi dall’imbarcadero di San Basilio (dove è stato dato appuntamento ai candidati spettatori che in questi giorni si sono prenotati), si terrà la seconda parte di un progetto denominato “Questa vita è un’Odissea. Venezia apre le sue case al teatro”. Come accennato, non pochi sono stati i danni riportati in Casa Fullin, in particolare al pianterreno, in occasione dell’acqua alta dello scorso 12 novembre.

«Danni non solo materiali - esordisce il regista Mattia Berto - ma pure emotivi, che hanno spinto la giovane coppia ad interrogarsi sul continuare a vivere a Venezia; da qui nasce l’idea che abbiamo concepito assieme, aprire il loro privato al teatro di cittadinanza dello Stabile del Veneto». Quanto all’Odissea omerica citata nel titolo del progetto: «Vuole essere una riflessione sulla città - prosegue Berto - e sui cambiamenti dei luoghi del vissuto quotidiano, traendo spunto proprio dal famoso viaggio di Ulisse e dalla sua ricerca della strada giusta per ritornare a casa». Ovviamente, uno dei fini è proprio quello di coinvolgere quella parte di cittadinanza che cerca di “resistere” alla tanto declamata - quanto palese - metamorfosi urbana. Non è l’unico richiamo all’Odissea, quello citato sopra: «Dopo essere stati ammaliati dal canto delle sirene - racconta infatti Berto - nella prima tappa del viaggio a Palazzo Rubelli, il prossimo attracco porta ora i partecipanti direttamente nella casa di Circe, simboleggiata dall’abitazione della famiglia Fullin».

Ad accogliere il pubblico la maga Circe in persona assieme alle sue ancelle; sarà offerto cacio e miele quale segno d’accoglienza, ma allo stesso tempo i presenti saranno trasformati in porci, colpiti con la verga e rinchiusi in un porcile (giocosamente, si intende). «È proprio grazie alla figura di Circe - amplia la portata il regista - che si è aperta la nostra riflessione su quanto e cosa abbia maggior potere nella trasformazione della nostra personalità e del nostro carattere».

Nello specifico, gli eterogenei allievi del laboratorio di teatro di cittadinanza sono stati invitati ad indagare, negli incontri e prove, anche sul proprio bagaglio soggettivo, per restituire una propria personale risposta.
Durante le giornate sono stati pure affrontati ed elaborati specifici temi, quali seduzione, abbrutimento, trasformazione del corpo. Il “teatro di cittadinanza” portato avanti in tali modalità sta riscuotendo nel tempo crescenti curiosità e successo, sia di partecipanti che pubblico, accarezzando le idee di “comunità” e “condivisione”: il teatro si propone in un dualismo tra socializzazione e analisi: motore di aggregazione sociale e nel contempo osservatorio privilegiato su luoghi (Venezia) e cambiamenti. La restituzione di tutto questo in forma di spettacolo è rivolta a tutti, non solo ai “nativi”, e varando un senso di condivisione: «Invito gli spettatori - conclude Berto - i partecipanti ai laboratori, i padroni di casa, veneziani e foresti a pensare la fragile, ma forte Venezia come la propria Itaca, una casa per tutti noi».

 
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