Regeni, commissione parlamentare: «Responsabilità della morte è dei servizi egiziani»

La relazione finale dei parlamentari dice che anche il ritrovamento del cadavere non è casuale

Mercoledì 1 Dicembre 2021
Regeni, commissione parlamentare: «Responsabilità della morte è dei servizi dell'Egitto»
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Nella relazione finale della commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni si accusano in modo netto i servizi segreti dell'Egitto. «La responsabilità del sequestro, della tortura e dell'uccisione di Giulio Regeni grava direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d'Egitto, e in particolare su ufficiali della National Security Agency, come minuziosamente ricostruito dalle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Roma».

Lo afferma la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni nella relazione finale che verrà approvata oggi. Per la commissione «se è un bene che si insista nonostante il sempre più chiaro boicottaggio egiziano» a «livello politico è ora di richiamare l'Egitto alle sue responsabilità, in quanto Stato, che sono molto evidenti».

«I responsabili dell'assassinio di Giulio Regeni sono al Cairo - si afferma nel documento -, all'interno degli apparati di sicurezza e probabilmente anche all'interno delle istituzioni. La via della verità e della giustizia può trovare un correlativo oggettivo solo in presenza di un'autentica collaborazione da parte egiziana. Se nei primi due anni, alcuni risultati sono stati faticosamente e parzialmente raggiunti, anche in virtù dell'intransigenza mantenuta dall'Italia, negli anni successivi non sono venute dal Cairo altro che parole a livello politico, mentre la magistratura si è chiusa a riccio in un arroccamento non solo ostruzionistico, ma apertamente ostile e lesivo sia del lavoro svolto dagli inquirenti italiani che dell'immagine del giovane ricercatore, verso cui lo stesso presidente Al-Sisi aveva usato un tono ben diverso». 

«La mancata comunicazione da parte egiziana del domicilio degli imputati, nonostante gli sforzi diplomatici profusi al fine di conseguirla, non si risolve nella mera "fuga dal processo", ma sembra costituire una vera e propria ammissione di colpevolezza da parte di un regime che sembra aver considerato la cooperazione giudiziaria alla stregua di uno strumento dilatorio», si legge nella relazione. 

«La battuta d'arresto dell'iter processuale - prosegue - a seguito dell'ordinanza della Corte d'assise di Roma del 14 ottobre 2021, ha natura meramente procedurale e non pregiudica in alcun modo le conclusioni cui è giunta la magistratura inquirente, pienamente condivise con questa Commissione alla luce dell'ampia inchiesta svolta e della documentazione acquisita». Nel documento si afferma che «nel corso dei suoi lavori, la Commissione ha potuto accertare il qualificato e straordinario ruolo svolto dai magistrati della Procura della Repubblica di Roma, efficacemente supportati dagli ufficiali di polizia giudiziaria del ROS dell'Arma dei Carabinieri e dallo SCO della Polizia di Stato. Nonostante la difficoltà evidente di perseguire reati commessi all'estero, e in assenza di una convenzione bilaterale in materia di assistenza giudiziaria, gli inquirenti hanno conseguito risultati insperati che costituiscono un importante precedente, anche alla luce della crescente esigenza di tutela dei connazionali all'estero nell'epoca della globalizzazione».

 

«In tutta evidenza, la mancata collaborazione delle autorità del Cairo si configura come un'oggettiva ostruzione al naturale decorso della giustizia italiana che reclama un'adeguata presa di posizione politica», si legge. «È intollerabile - prosegue il documento - che da parte egiziana si ritenga di poter impunemente contravvenire alle più elementari concezioni del diritto ignorando che favorire la celebrazione del processo, ovvero parteciparvi da parte degli imputati, non implicherebbe affatto la sanzione della loro colpevolezza, ma significherebbe soltanto rispettare veramente e non solo formalmente l'ordinamento italiano. Il progressivo arroccamento ostruzionistico dell'Egitto - si legge nella relazione - nei confronti dell'impegno delle istituzioni italiane per la ricerca della verità e della giustizia sulla morte di Giulio Regeni è ben esemplificato dalla diffusione ad orologeria, alla fine dello scorso mese di aprile, di un documentario che ricostruirebbe il soggiorno al Cairo del giovane ricercatore, assolvendo da ogni responsabilità le autorità egiziane e riproponendo velatamente le trite allusioni ad una possibile attività spionistica ascrivibile alla sua affiliazione all'Università di Cambridge. Al di là del topos francamente poco più che letterario, qui rileva il fatto che il filmato, la cui realizzazione ha peraltro richiesto la destinazione di un non trascurabile finanziamento, sia stato diffuso sui social media in concomitanza con l'udienza preliminare allo svolgimento del processo e quindi trasmesso da una rete televisiva egiziana notoriamente compiacente». E ancora: «pur scontandone la sicura buona fede, lascia perplessi che talune personalità italiane politiche e militari, che pure hanno ricoperto importanti incarichi, abbiano potuto farsi coinvolgere in una simile operazione di contro- informazione, questa sì tipica degli apparati di intelligence».

«Un'altra ipotesi, talora ventilata sulla stampa e naturalmente spesso fatta propria dai media egiziani ed infatti ripresa nel documentario diffuso a fine aprile 2021, verte sull'eventualità che Giulio Regeni, anche non consapevolmente, possa essere stato utilizzato da servizi segreti di paesi terzi, ad esempio da quelli britannici. La commissione ha approfondito tale aspetto nel corso dei suoi lavori, avendo avuto modo di registrare come sia nell'ambito delle indagini svolte nel Regno Unito dagli inquirenti italiani, sia nelle attività informative dei nostri apparati di intelligence non vi sia alcuna elemento che possa suffragare tale ipotesi», è questo un altro passaggio della relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni che verrà approvata oggi.

«Gli elementi raccolti dalla commissione tendono ad escludere la casualità del ritrovamento» del corpo di Regeni «non solo perché l'occultamento di un cadavere avrebbe potuto avvenire in ben altro modo, ma anche per la vicinanza ad una sede degli apparati di sicurezza, circostanza pregnante come che la si voglia interpretare». È quanto si legge nella relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni che verrà approvata oggi. «Nei giorni della scomparsa non solo le istituzioni italiane hanno cercato Regeni. Per dovere d'ufficio, si è mossa l'American University del Cairo, in quanto il ricercatore risultava accademicamente affiliato ad essa. Non ne emergeva tuttavia alcuna risultanza ufficiale, benché risulti a questa commissione che l'incaricato per la sicurezza dell'ateneo - in cui si forma buona parte della classe dirigente egiziana - abbia effettuato un sopralluogo personale presso la sede della National Security. Tutta la rete degli amici, colleghi di Regeni si mobilita inoltre nelle ricerche, a cominciare dalla supervisor di Cambridge, la professoressa Maha Abdelrahman, la cui corrispondenza elettronica documenta un incessante sforzo di sensibilizzazione a tutti i livelli, che tuttavia non sfocia in una presa in carico ufficiale della questione da parte di quell'università così da indurre il governo britannico ad assumere un'iniziativa presso le autorità egiziane, ritenendosi evidentemente inopportuno affiancarsi all'Italia sulla questione».

«La Commissione ritiene che possano ritenersi fugati i dubbi circa il ruolo della docente» dell'Università Cambridge «riconducendo l'atteggiamento della professoressa Abdelrahman nel corso di questi anni ad un approccio personale teso ad allontanare da sé il peso della tragedia che ha avuto su di lei un notevole impatto dal punto di vista umano e psicologico». Nella relazione della commissione parlamentare si fa riferimento alla missione svolta presso l'ateneo inglese con cui Regeni aveva un dottorato. «La professoressa Maha Abdelrahman, che ha ricostruito nel dettaglio la genesi dei suoi rapporti accademici con Giulio, ivi inclusa la progressiva definizione e il successivo svolgimento del tema della ricerca di dottorato, sottolineando gli ampi margini di autonomia riservati allo studente. In particolare, la docente, nel ribadire la sua totale estraneità rispetto alla politica egiziana e soprattutto rispetto alla Fratellanza musulmana, ha fatto presente come in Egitto, prima dell'accaduto, continuassero a svolgersi ricerche storiche, sociologiche e politologiche su argomenti anche più compromettenti di quello trattato dal ricercatore italiano».

Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 13:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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