Giulio, si scava nella rete di contatti
Aveva informazioni pericolose

Lunedì 15 Febbraio 2016
Giulio, si scava nella rete di contatti Aveva informazioni pericolose
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Una trentina tra amici, colleghi e professori universitari: sono i contatti via Skype e Facebook con i quali Giulio Regeni aveva rapporti quotidiani dal Cairo e sui quali ora si concentra l'attenzione degli inquirenti italiani per ricostruire la rete delle relazioni del ricercatore friulano. E, soprattutto, per capire chi in quella rete potrebbe averlo portato, indirettamente, alla morte. Perchè chi sta cercando di dare un nome e un volto a chi lo ha brutalmente picchiato e torturato, ha raggiunto la ragionevole certezza che Regeni sia stato ucciso per le informazioni raccolte nel suo lavoro. Che qualcun altro potrebbe aver utilizzato per altri scopi.

Giulio, hanno infatti accertato gli investigatori grazie all'analisi del computer consegnato dai genitori, teneva conversazioni quotidiane: chat in cui il ragazzo scambiava opinioni con colleghi e professori, inviava i report sui suoi incontri con esponenti dei sindacati indipendenti e dei venditori ambulanti, teneva la corrispondenza con chi seguiva i suoi studi. Gli inquirenti - alle prese con i continui depistaggi, come quello del supertestimone che si è presentato in ambasciata dicendo che Giulio sarebbe stato preso da due poliziotti attorno alle 17.30, salvo poi esser smentito sia dalla telefonata di Gervasio sia dalla chat con la fidanzata del giovane - vogliono dunque capire se questa mole di informazioni, in qualche modo uscita dal circuito accademico e finita nelle mani di qualcuno, possa aver portato Giulio ad entrare nel mirino di chi, poi, lo ha ridotto nel modo in cui è stato trovato la sera del 3 febbraio.

D'altronde, lo spiega bene il professore Khaled Fahmy dell'American University al Cairo, quello del lavoro, dei sindacati e degli attivisti «è il topic più pericoloso di cui occuparsi» al Cairo, un tema su cui «le agenzie di sicurezza sono molto sensibili». Ed è su questi temi che si è centrata l'audizione da parte del pm Sergio Colaiocco della professoressa Maha Abdelrahman, tutor di Regeni alla Cambridge University. La docente ha spiegato, tra l'altro, che la ricerca di Giulio era diventata partecipata, vale a dire prevedeva una partecipazione attiva alla vita degli organismi di cui doveva occuparsi.

Se questo possa aver influito sul destino di Giulio, però, la professoressa non ha saputo dirlo, sostenendo che avevano avuto solo contatti via mail e che si sarebbero sentiti nuovamente a marzo. Quel che è certo è che l'attuale campo di studio di Maha Abdelrahman è rappresentato dalle primavere arabe e dalla storia delle lotte sociali in Medio Oriente in quest'inizio di secolo.

Temi che potrebbero aver destato l'interesse degli apparati, anche in considerazione di quel che la professoressa scriveva un anno fa proprio sull'Egitto di Sisi. Un regime che, diceva, fondava la sua unica legittimità sulla promessa di ripristinare la sicurezza e che arruolava grandi settori della popolazione affinchè diventassero soggetti attivi «nella sorveglianza e nella segnalazione» di quel che accade nella società. Ma Adbelrahman, in quell'articolo, parlava anche dei 'Baltagiyà, letteralmente i banditi, squadroni utilizzati per il lavoro sporco e non ufficiale nei confronti di dissidenti, oppositori e chiunque possa dar fastidio.

Un profilo, è l'opinione degli inquirenti, molto simile a chi potrebbe aver sequestrato e ucciso Regeni. Che, resta l'unica certezza al momento, è scomparso la sera del 25 gennaio attorno alle 20, senza mai arrivare alla cena a casa di Hassanein Keshk, l'intellettuale e sociologo, punto di riferimento per il mondo sindacale. Dall'Egitto, intanto, continuano ad arrivare secche smentite ad ogni ipotesi avanzata dai media occidentali, l'ultima quella del New york Times che, citando 3 diverse fonti di sicurezza, sosteneva che Regeni fosse stato preso dalla polizia.

«Informazioni completamente erronee» hanno scritto i media governativi e poi ha ribadito l'ambasciatore in Italia Amr Helmy.

Che ha anche aggiunto un messaggio al nostro paese. «Qualsiasi speculazione» che compare sui media su questa vicenda, «potrebbe influire sulle indagini». Significa che il team italiano che già si muove con molta fatica al Cairo, rischia di avere ancora meno informazioni rispetto al poco che al momento riesce ad ottenere.

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