Quindici pescatori e 15 gatti: Punta Sdobba, un villaggio senza tempo

Lunedì 19 Dicembre 2016 di Paola Treppo
Il villaggio di Punta Sdobba
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GRADO (Gorizia) - Ci vivono stabilmente 15 pescatori, sia in estate che nei mesi più freddi, con 15 gatti, nel villaggio di Punta Sdobba, un borgo rimasto agli anni Cinquanta, almeno, nato con le bonifiche fatte ai tempi di Mussolini, che strapparono alle paludi e alle zanzare tanti lembi di terra; nascosto, con un porticciolo da film romantico sulle acque calme del fiume Isonzo, questo piccolo borgo da sogno non è meta turistica. Lo conoscono in pochi, non ci sono segnali o cartelli stradali che ti indicano la sua posizione, solo un divieto di ingresso: “Accesso riservato ai frontisti”. Forse per questo non c'è nessuno. Anche in queste meravigliose giornate di sole di inizio inverno. Ci trovi solo loro, i pescatori, che arrivano da Grado. Gente ospitale, che ti apre la porta, anche se sta lavorando con il suo pescato. Sono loro che raccontano la storia di questo villaggio, raccolto attorno alle barche, con l'ancona votiva della Madonna. Sono loro che conoscono i segreti delle loro acque, tra leggende di tesori, di galeoni e di barche finite in secca. 

Pino e la sua gatta 
«La prima volta che ho visto Punta Sdobba avevo 6 anni, mi ci portò un pescatore professionista, con la sua barca. Da allora questo luogo mi è rimasto nel cuore. Da poco ho avuto in concessione dal Comune un "casone" del villaggio, che è una sorta di casetta; è tutto da mettere a posto, c'è parecchio lavoro da fare ma di tempo ne ho e verrò a vivere qui». Giuseppe Brunetto, che nel villaggio tutti chiamano Pino, ha 45 anni, e vive a Grado in un residence. Fa il pescatore da sempre, con la sua gatta, che per due anni è vissuta sotto coperta, in barca, e che anche oggi lo aspetta ogni giorno sul piccolo molo, coloratissimo. Pino mostra il suo "casone": «Qui la sala principale, con la stufa a legna. Perché chi vive qui non usa il gas per scaldarsi, non ha senso. Qui la stanza da letto, qui l'ingresso, qui una stanza più piccola, se arriverà un bambino, sennò ci faccio uno studio, che sono anche artista, io». Fuori lo spazio per mangiare e per il pesce.

Il forziere coi lingotti d'argento 
«Noi peschiamo in modo assolutamente non impattante, con reti a maglie larghe, con barche per fondali bassi, altrimenti non si esce in mare con le secche, che ci sono appena fuori dall'Isonzo. Tante volte andiamo a recuperare gente che si è incagliata, perché conosciamo questi specchi d'acqua meglio di chiunque altro. Anche le loro leggende. Si racconta, ad esempio, di un tesoro, quello di un galeone affondato dopo essere rimasto incagliato. Nel carico c'era anche un forziere con lingotti d'argento. Qualcosa di vero c'è perché in passato qualcuno ha trovato argento. Di storie di barche colate a picco ce n'è tante, come in tutti i mari; verso Grado sappiamo che in profondità, nei fondali, ci sono relitti romani, e via via più recenti. Qui è passato di tutto». Pino si gode il paesaggio prima che il sole scompaia dall'orizzonte. «La mattina, appena sorge, è uno spettacolo. Vivere qui significa vivere immersi nella calma della natura, con i suoi ritmi, lontano dalla confusione. Si sta bene». 

Nel cuore di un parco prottetto   
«Qui è tutto tutelato, protetto, vincolato, fuor che noi - dice sorridente l'amico di Pino, Ennio Padovan, 68 anni, nato a Grado, che vive tutto l'anno a Punta Sdobba, in un "casone" che si affaccia sul fiume e che ha una cucina esterna per far da mangiare in estate -; per pescare si esce la mattina, appena fa luce, non importa che ora è. Si sta fuori, in mare, o si pesca nell'Isonzo per un'ora, un'ora e mezza. Se è brutto tempo non si esce proprio». A due passi da dove abita Ennio ci sono invece Ivano Toso, classe 1939, e suo cugino Simone Lauto, 40 anni, tutti e due di Grado, tutti e due pescatori, come i loro padri, come i loro nonni. Fa freddo ma non lo sentono. «Lo vuole un po' di cefalo? Appena pescato, alla griglia è favoloso». Hanno pescato anche dei rombi, messi in una cassetta verde. Si pesca di tutto, in queste acque, anche branzini e la passera. «Il villaggio è nato dopo la bonifica; è un borgo solo di pescatori, non c'è altra gente. E i capanni e le case che una volta venivano usati per lavoro, adesso servono anche a qualcuno per viverci». Sono una serie di suggestive casette basse e con poche stanze, a volte solo una o due. Solo in alcune c'è corrente e tutti si scaldano con le stufe a legna, anche perché di legna ce n'è in abbondanza. Fuori, oltre il villaggio, a piedi, lungo un sentiero sterrato tra le canne, si arriva a un osservatorio in legno: da lì si vede la foce dell'Isonzo e comincia il mare. 
 

 

Ultimo aggiornamento: 20 Dicembre, 13:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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