La partigiana "Renata": «L’8 marzo? Festa inutile. Non dobbiamo farci prendere in giro»

Martedì 8 Marzo 2022 di Camilla De Mori
La partigiana Medaglia d'oro al valor militare
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UDINE - L’8 marzo per Paola Del Din, partigiana con il nome di battaglia “Renata”, medaglia d’oro al valor militare, è un giorno come gli altri. Non festeggia una ricorrenza che, con la schiettezza che la contraddistingue da sempre, definisce «commerciale». D’altronde, non si è mai sentita femminista. Ma, dall’alto dei suoi 98 anni (ne compirà 100 nell’agosto del 2023), non lesina consigli alle giovani generazioni.

Paola Del Din, lei è stata la prima paracadutista italiana e durante la guerra prese parte a numerosi voli di guerra. Cosa vorrebbe insegnare alle ragazze italiane della generazione Z? Il coraggio di mettersi in gioco?
«Vorrei che ricordassero sempre che i problemi si devono affrontare con serietà e dignità».

Oggi è l’8 marzo. Lei lo festeggia o no?
«No».

Perché?
«Perché è una festa creata per ragioni commerciali.

Alla mia età non si usava quando ero giovane (in Italia la prima giornata della donna si svolse nel 1922, ma il 12 marzo, mentre l’8 marzo come ricorrenza da celebrare nelle zone liberate fu istituito dopo la costituzione dell’UDI nel settembre 1944 a Roma, ndr). Se crediamo in qualcosa, allora facciamolo in un certo modo; se non crediamo, non facciamoci prendere in giro».



Si è mai sentita femminista?
«No».

Eppure lei, che si lanciava con il paracadute, che non esitò a gettarsi nella mischia e che fu pioniera in tanti contesti, potrebbe sembrare una proto-femminista.
«Io sono una persona. So di essere una donna, ho 50 anni di matrimonio alle spalle e ho avuto 4 figli, ma questo non significa essere femminista. Sono una persona. Il fatto che sia un uomo o una donna non significa niente. Ho affrontato quello che ho affrontato perché andava fatto. Ho agito al meglio che potevo».

Il consiglio che darebbe alle giovani di oggi? 
«Di ricordarsi che per essere all’altezza del compito che si vuole assumere bisogna avere il coraggio di imparare e di sacrificare piaceri e divertimenti».

Il libro che secondo lei dovrebbero leggere?
«Primo Levi, “Se questo è un uomo”».

Lei dopo la laurea andò negli Usa. Quanto ritiene importante viaggiare e conoscere nuovi mondi per le nuove generazioni?
«Avevo vinto una borsa di studio per andare via nave, frequentare l’università che me l’aveva data e sostenere i 27 esami scritti. È importante sempre adoperare la testa perché il viaggio porti vantaggio».

Ora c’è chi teme una Terza guerra mondiale. Lei, che la Seconda l’ha vissuta, se potesse cosa vorrebbe dire a Putin?
«Vorrei dirgli di ricordarsi che prima o poi morirà anche lui».

Pensa che la Nato e gli Usa siano stati troppo morbidi? 
«Penso che dovrebbe essere creare una forza armata unitaria a difesa dell’Europa in modo da avere una politica indipendente fatta secondo gli interessi dell’Ue».

Cosa pensa della Resistenza ucraina?
«Gli uomini combattono e mandano in salvo donne e bambini, ben diversamente dagli afghani».

Tante persone si stanno candidando a ospitare profughi, anche in Friuli e c’è una corsa a donare viveri e medicine. Se lo aspettava? 
«Sì, sappiamo che cosa significa essere veri profughi»

Lei li ospiterebbe? 
«Sì, se avessi una casa organizzata diversamente».

Se la cava bene con la tecnologia: qual è il suo rapporto con il cellulare e il computer? Internet è una rivoluzione o un male necessario?
«I progressi tecnici sono sempre utili quando vengono adoperati a ragion veduta».

Come ha vissuto gli anni della pandemia? 
«Rispettando le normative e approfittando dell’occasione per riordinare libri e vecchie carte e fotografie di famiglia».

Cosa pensa del Super Green Pass? Scelta giusta o provvedimento divisivo? 
«È giusto che si sappia se uno ha avuto una coscienza civile e rispetto per gli altri oppure no».

Ritorniamo agli anni della Resistenza. Pensa che su Porzus ci sia stata una reale “pacificazione”? Ancora oggi sull’eccidio restano posizioni molto diverse. 
«Fatti di quella gravità non possono essere dimenticati, soprattutto quando tuttora si pretende di essere stati dalla parte della ragione. Giustifichiamo adesso Putin?».

Ha un rimpianto o un rimorso? 
«Ho fatto il mio dovere nella speranza che la guerra finisse prima. Quindi né rimpianti né rimorsi perché ho fatto quello che potevo anche se rischioso e richiedeva fermezza».

Le sue parole su Gladio il 25 aprile del 2005 fecero discutere. Le ripronuncerebbe anche oggi?
«Certo! A me non sarebbe piaciuto andare a finire in una foiba. Gladio ha difeso questo territorio. Io non facevo parte di Gladio. Avevo quattro bambini piccoli. Nessuno me lo ha chiesto. Ma bisogna vedere che cosa era successo prima. Nel libro di Pansa, il racconto di quel periodo che riguarda questa zona corrisponde esattamente a quello che ho visto io. È stata una conseguenza alla situazione che avevamo qui. Tito voleva arrivare in Pianura padana».

Lei al referendum si espresse per la monarchia. Alla vigilia dei suoi cent’anni, con decenni di Repubblica alle spalle, che voto dà al sistema repubblicano? 
«Non sono i sistemi repubblicano o monarchico che sono in causa: è il metodo di fare politica che va discusso». 

Come e dove vorrebbe festeggiare i suoi cent’anni?
«Se ci arrivo tornerei volentieri dai miei parenti acquisiti a Vilnius dove ho già festeggiato i 94 anni».

Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 10:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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