Moria di api, uno studio dimostra come i pesticidi non le uccidono ma ne abbassano le difese naturali

Mercoledì 25 Novembre 2020 di R.U.
Una femmina adulta dell'acaro Varroa destructor attaccata a una pupa di ape

UDINE - I pesticidi non uccidono le api, ma ne abbassano le difese naturali da uno dei loro più grandi “nemici”, un acaro parassita che dall’Estremo Oriente si è diffuso in tutto il mondo, salvo Australia e Madagascar, arrivano in Italia quasi quarant’anni fa, dove per la prima volta fu rilevato nel 1981 proprio in Friuli Venezia Giulia.
Grazie a uno studio condotto da un gruppo di ricerca tutto italiano, che vede il coinvolgimento dell’Università di Udine e dell’Università di Napoli Federico II, la ricerca aggiunge un nuovo importante contributo alla comprensione dei meccanismi sottesi alla scomparsa in natura delle api. La ricerca, pubblicata il 18 novembre su Nature Communications, ha dimostrato, in particolare, come l’effetto negativo degli insetticidi neonicotinoidi (con un meccanismo di azione simile alla nicotina) sull’immunità dell’ape comporti anche un’aumentata riproduzione di uno dei suoi più temibili parassiti: l’acaro Varroa destructor, un acaro parassita esterno che attacca le api Apis mellifera e Apis cerana, attaccandosi al loro corpo e indebolendole succhiandone l’emolinfa.
LA RICERCA
È ormai noto che le api domestiche subiscono annualmente gravi perdite causate da parassiti, patogeni, semplificazione del paesaggio agrario e pesticidi. «Un problema globale ancora poco chiarito – sottolinea Francesco Nazzi, docente di entomologia del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali dell’Università di Udine - che desta grande preoccupazione per le sue pesanti ripercussioni ecologiche ed economiche.

In Europa gli insetticidi come quello da noi studiato sono stati banditi in pieno campo, ma non così nel resto del mondo. Per l’Europa, l’auspicio è che lo studio contribuisca a sensibilizzare gli enti preposti sulla necessità di considerare anche questi effetti al momento della registrazione delle molecole da immettere sul mercato».


TEAM EUROPEO
Lo studio, nell’ambito del progetto di ricerca Horizon 2020 “Poshbee” che coinvolge 42 partner di 14 Paesi europei, è stato condotto dal gruppo italiano guidato da Francesco Nazzi con il gruppo guidato da Francesco Pennacchio, dell’Università Federico II di Napoli, coordinatore nazionale del progetto Prin “Unico”. Lo scopo è comprendere in che modo diversi fattori di stress concorrono a minare la salute delle api. In questo caso l’attenzione era rivolta all’interazione fra insetticidi neonicotinoidi e un acaro parassita.
CAUSA ED EFFETTI
«Siamo partiti da osservazioni svolte in Nord America, dove ineonicotinoidi sono ancora in uso e gli alveari esposti a questi prodotti risultavano maggiormente infestati dall’acaro Varroa. Abbiamo valutato se e come l’insetticida in questione (il Clothianidin) interferiva con il sistema immunitario dell’ape. Avendo rilevato che il Clothianidin può inibire la melanizzazione e coagulazione e dunque, in parole povere, la cicatrizzazione delle ferite, ci siamo chiesti se esso poteva favorire l’alimentazione dell’acaro Varroa, che si nutre appunto dell’emolinfa (il sangue) dell’ape, suggendola da un foro che deve restare aperto nel tempo. Abbiamo notato che effettivamente la Varroa è facilitata nella sua alimentazione sulle larve d’api trattate con l’insetticida e si riproduce di più. La maggiore riproduzione dell’acaro potrebbe rendere conto delle osservazioni riportate all’inizio e costituisce un’altra inattesa conseguenza negativa di quel prodotto».


ANNI DI LAVORO
Lo studio - che ha visto il contributo, per l’Ateneo udinese, di Desiderato Annoscia, Davide Frizzera e Francesco Nazzi del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali – ha proseguito un’attività di ricerca intrapresa diversi anni fa da gruppo di ricerca degli atenei friulano e partenopeo. Un primo articolo fu pubblicato nel 2013 dalla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America e ricevette un premio dall’Accademia delle Scienze degli Usa.
Alla luce dei nuovi risultati, l’auspicio dei ricercatori è «che questo lavoro – conclude Nazzi – contribuisca a chiarire che i processi sono molto più intricati di quanto non si creda. Purtroppo, quando si parla di moria delle api, l’informazione non è sempre bilanciata e l’opinione pubblica è portata a pensare che gli insetticidi siano l’unica causa: essi, invece, sono solo uno dei molti tasselli di un puzzle assai complesso; le cause sono molteplici e interagiscono tra di loro in modi spesso inattesi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci