Operaio s'infortuna per colpa dell'azienda e viene licenziato: super risarcimento di 336 mila euro

Antonella Franceschin, Inca Cgil: «Di solito l'"accomodamento ragionevole" dà scarsa tutela alle vittime. Il giudice stavolta ha riconosciuto il danno da lesione e quello futuro»

Sabato 23 Luglio 2022 di Redazione Web
Antonella Franceschin direttrice Inca Cgil Padova
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PADOVA - Un risarcimento record, più di 336 mila euro, oltre alla liquidazione Inail, dopo l'infortunio sul lavoro è andato a un operaio di un'azienda di Piove di Sacco. La storia è molto particolare e la giurisprudenza farà testo anche per casi simili futuri, spiega la direttrice del patronato Inca Cgil di Padova, Antonella Franceschin. La vicenda è stata piuttosto lunga, come spesso accade in Italia, ma dopo quasi 10 anni la sentenza del tribunale patavino, il 30 giugno scorso, ha fatto rumore «perché riguarda una tematica assai ricorrente e rilevante, quella dei licenziamenti per inidoneità al lavoro a fronte di malattie professionali o infortuni nei quali è ravvisabile una responsabilità del datore di lavoro.

Ma stavolta l’esito processuale, vista la giurisprudenza in materia, è stato perlomeno inconsueto, se non addirittura sorprendente» sostiene Inca Cgil.

2013, l'infortunio in fabbrica

Tutto inizia il 10 maggio del 2013. Un operaio 36enne sta lavorando ad una macchina piegatubi: ad un tratto, un tubo si muove dalla morsa dove era collocato, provocandogli un trauma distorsivo al polso destro. Comincia così una via crucis medico-sanitaria, lavorativa e processuale. A livello sanitario continue ricadute, ricoveri e interventi chirurgici. La perizia del ctu (consulente tecnico d’ufficio) valuta una lesione permanente all’integrità psicofisica dell’uomo del 24%, nonché una lesione della sua specifica capacità di lavoro del 40%. In pratica, si legge nella nota di Inca, per tre anni l'operaio entra e esce dagli ospedali, fa le visite Inail, rientra al lavoro per poi, per la ricaduta, ricorrere nuovamente a cure ospedaliere urgenti, e così via. Fino al 29 giugno 2016 quando, per inidoneità al lavoro, l’azienda lo licenzia. Da allora non ha più trovato lavoro stabile e la condizione di disoccupato permane, nonostante l’iscrizione nell’elenco dei lavoratori disabili. In pratica, l’infortunio subìto non solo ha avuto come conseguenza il suo licenziamento, ma ha anche limitato fortemente le possibilità di trovare un’altra occupazione. «Una beffa crudele - dice Franceschin - oltre che un’ingiustizia perché, e qui si intreccia la vicenda processuale, sull’infortunio subito vi è una responsabilità dell’azienda. L'operaio prima era venuto all’Inca Cgil a raccontarci la sua triste storia e poi, rappresentato dall’avvocata Camilla Cenci dello studio Giancarlo Moro, era ricorso al giudice del lavoro del tribunale di Padova chiedendo il risarcimento del danno».

Il giudice dà ragione al lavoratore

«Naturalmente – prosegue Antonella Franceschin – l’azienda rigettò il ricorso scaricando sostanzialmente sull’operaio la responsabilità di quanto accaduto per non aver serrato correttamente la morsa intorno al tubo. Ma nel corso del processo è emerso come la scivolosità del tubo, causata dal lubrificante con cui veniva rivestito per poter essere lavorato, avesse avuto un ruolo decisivo nella dinamica dell’infortunio. L’impresa forniva guanti antiscivolo per effettuare quel particolare tipo di lavoro, solo che – come emerso da una testimonianza – si usuravano nel giro di pochi minuti diventando inutili per la loro funzione. Per poterne riavere bisognava fare domanda scritta al magazziniere che vi dava corso con grande difficoltà. Alla fine il giudice ha dato ragione al lavoratore e ha giudicato l’azienda responsabile di quanto gli era successo. Un atto di giustizia, non raro in casi come questo ma che solitamente si concludono con un risarcimento irrisorio rispetto al danno ricevuto».

Risarcimento boom, oltre 336 mila euro

E qui viene il bello. Il giudice, affermata la responsabilità del datore di lavoro, oltre a liquidare le componenti ‘scontate’ di danno (danno non patrimoniale permanente e temporaneo) misurando il danno biologico complessivo a 188.555,62 euro (l'Inail gliene aveva liquidato una rendita il cui valore capitalizzato era pari a 57.984,01 euro, per cui il danno differenziale risarcibile, alla fine, è di 130.071,61 euro) ha anche deciso di liquidare un ulteriore importo piuttosto sostanzioso ritenendo, giustamente, che oltre al danno patrimoniale da lesione della capacità di lavoro in relazione al tempo trascorso dalla data del licenziamento al momento della sentenza esiste anche il danno futuro, ovvero la minore capacità che il nostro patrocinato avrà di produrre reddito a causa dell’infortunio.

«Cifre così non hanno precedenti»

«E così partendo da quello che era il reddito annuo medio dell'operaio prima dell’incidente - continua Franceschin -, detraendo le somme ricevute a diverso titolo dal giorno del licenziamento a oggi, considerando gli anni che gli rimanevano alla pensione, misurando la minor remuneratività dei possibili impieghi futuri e applicando determinate tabelle del Ministero del lavoro, gli ha infine riconosciuto altri 205.211,39 euro, arrivando quindi a determinare il danno totale risarcibile con la cifra di 335.283,00 euro, oltre a 1000 euro in più per le spese mediche sostenute, dopo la liquidazione di Inail. Insomma il giudice ha condannato l’azienda in questione a rifondere al lavoratore 336.283 euro, il che oggettivamente è molto di più di quanto si ottiene in tantissimi casi analoghi. Voglio ricordare che i licenziamenti per inidoneità a causa di malattie professionali o infortuni nei quali è ravvisabile una responsabilità del datore di lavoro sono aumentati, direi in modo esponenziale, negli ultimi anni ma spesso tutto si conclude con i cosiddetti ‘accomodamenti ragionevoli’ che offrono scarsissima tutela alle vittime dell’infortunio soprattutto se impiegati nelle medie e piccole imprese».

Foto: Antonella Franceschin, direttrice Inca Cgil

Ultimo aggiornamento: 24 Luglio, 10:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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