UDINE - Nella testa e nel cuore il destino dei suoi ragazzi, alcuni conosciuti da pazienti prima ancora che da atleti. In tasca, il portafortuna a forma di anguria che le aveva regalato la figlia decenne prima della partenza per le Paralimpiadi di Tokyo. E alla fine, anche per l'udinese Emiliana Bizzarrini, chief medical officer e covid liason officer della delegazione italiana ai Giochi (nonché direttore facente funzione dell'Unità spinale del Gervasutta), la gioia pura.
EMOZIONE
A Tokyo, come responsabile sanitario del Comitato italiano paralimpico (Cip), era affiancata da quattro medici, tre fisioterapisti e un infermiere, oltre ai sanitari delle federazioni. Complesso doversi confrontare con una pandemia in corso? «L'inizio è stato terribile. Abbiamo passato dei mesi veramente difficili. Non solo perché ci aspettavamo in ogni momento che annullassero tutto ma perché le contromisure sono state veramente importanti. Al Villaggio si faceva il tampone salivare quotidiano e non si usciva mai. Anche i trasporti erano blindati. Ma l'organizzazione ha dato i suoi frutti: nell'ambito della delegazione italiana nessuno è risultato positivo. Un grande risultato». Gli atleti friulani, vista la provenienza geografica, «li conoscevo tutti, gli altri li ho conosciuti durante la preparazione. Ero già stata in questo ruolo alle Paralimpiadi invernali del 2018. Ho questo incarico fino al 2024 e mi occupo dello sport paralimpico dal 2000». Una «passione», è lei a chiamarla così, che parte da lontano. «Nel 1999, la tesi di specializzazione in medicina dello sport a Trieste l'ho fatta proprio sui cicloni. Poi ho iniziato a lavorare al Gervasutta, dove abbiamo aperto un laboratorio di medicina dello sport dedicato alle persone disabili e ho intrapreso anche la carriera di classificatore». All'Istituto udinese, fiore all'occhiello di AsuFc e della direzione medica di presidio guidata da Luca Lattuada, è così affezionata che ci sta da oltre vent'anni: «E voglio restarci. È come una famiglia».
VITTORIE
«Per tutti noi è stata emozionantissima la vittoria della gara dei cento metri, con le tre ragazze italiane sul podio. Io ero come una pazza che urlavo. Poi, sono particolarmente legata a Giada Rossi: era ricoverata nella nostra Unità spinale nel 2008. Abbiamo sempre continuato a vederci. Aveva pensato di mollare per una serie di problemi seri di salute ad aprile. Poi abbiamo fatto delle cose assieme e lei a Tokyo è stata grandissima». Ma la dottoressa è molto legata anche a Matteo Parenzan («L'ho conosciuto che aveva 17 anni, adesso è il nostro portabandiera»), a Giorgia Marchi, «con una mamma superefficiente» e ad Andrea Tarlao. Un evento «indimenticabile. Non solo per tutte le medaglie, ma perché superato il covid senti che c'è una svolta: si respira uno spirito di rinascita», dice Bizzarrini. La festa negata causa covid? «Purtroppo Casa Italia non c'era per noi: avevano studiato una bellissima posizione sul mare, in un'epoca in cui non si prevedeva il covid. Inevitabilmente i festeggiamenti sono stati sotto tono, ma le emozioni sono state impagabili lo stesso». 52 anni, originaria di Udine, dove vive e dove ha frequentato l'ateneo prima delle due specialistiche a Trieste, alle Paralimpiadi ha portato un pezzo di Friuli? «La solidità. Noi friulani siamo dei lavoratori instancabili». Prima dell'appuntamento con Mattarella non si è ancora preparata un discorso: «Ci penserò sicuramente. Non so se riuscirò a dirgli qualcosa, ma sarebbe bello».