Arriva la mega minestra fermentata di rape siberiane, ecco il Brovadâr

Mercoledì 7 Dicembre 2016 di Paola Treppo
La minestra di brovadâr cucinata in piazza a Moggio Udinese

MOGGIO UDINESE (Udine) - Avvento tra antichi luoghi sacri, all’ombra dell’imponente e silenziosa Abbazia di San Gallo, custode del convento di clausura delle suore Clarisse Sacramentine, immersi in un brulicare di Natività allestite per le via del paese; avvolti dall’inconfondibile e acidulo profumo del “brovadâr”, una pietanza la cui ricetta, antichissima, è stata recuperata e riproposta da pochi anni per i giorni di festa, come quelli che precedono il Natale e il Capodanno. Lungo la strada maestra, che dalla Pedemontana porta all’Austria, nella montagna dell’Alto Friuli, il piccolo centro di Moggio Udinese invita gli amanti della cucina di una volta ad assaggiare un piatto ancora sconosciuto alla maggior parte dei buongustai.
 

 

L’appuntamento è per questa domenica 11 dicembre, delle 10 e fino all’imbrunire, col mercatino dell’artigianato locale, con la “Via dei presepi”, e con la degustazione di piatti a base di “brovadâr”. Per tutta la giornata nella via centrale del paese e in piazza stand di artigianato, oggettistica e gastronomia; a mezzogiorno, sotto il tendone riscaldato, si potrà degustare il brovadâr nelle sue varianti, orzotto, minestra e brovadâr con muset, proposto dalle “Donne per il Brovadâr” che portano avanti da anni il progetto, con varie sperimentazioni.

Il brovadâr è una pietanza rude, che racconta, nel palato e nelle fasi di preparazione, la storia della laboriosa e rigorosa gente di queste terre di montagna e che fa parte del "paniere" del Parco Naturale Regionale Prealpi Giulie. Per cucinarlo si usano rape di piccolo e medio taglio, dalla forma tondeggiante o schiacciata, dal colletto viola o rosso e che, prima della raccolta, abbiano subìto in campo almeno una gelata; così diventano più dolci e croccanti. Dopo aver tolto le foglie rovinate o ingiallite, si lava il tutto in acqua fredda e le radici carnose si fanno sbollentate e lasciar raffreddare. Poi, adagiate ordinatamente in recipienti di legno, con un fondo di verza, le rape vengono pressate con la forza delle mani; chiude l’“intruglio” una tavoletta di legno, a “cappello”. Il prodotto, su cui si versa acqua fredda leggermente salata, resta coperto. Con la fermentazione lattica anaerobica, gli zuccheri delle rape si trasformano in acido lattico, permettendo un’ottimale conservazione e originando il “brovadâr”. Il processo si completa in uno o due mesi. Le radici carnose di questa pianta biennale, originaria della Siberia occidentale, quindi tipica dei climi freddi, si preservano, così, per lungo tempo, fin quasi in primavera. Quel che si ottiene è un piatto unico, fatto con ingredienti semplici, sani e genuini: rape, patate, cipolla, aglio, pancetta o guanciale, cotechino, farina, burro, sale e pepe.
Una variante prevede l’aggiunta di fagioli borlotti, a rendere ancora più gustosa questa depurante ed energetica portata calda.

Ultimo aggiornamento: 10:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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