I popoli dei tre confini, divisi e confusi nella crisi del Coronavirus

Giovedì 23 Aprile 2020 di Tiziano Gualtieri
Il monte Lussari

Mentre in Italia si attende con ansia la fase 2, le zone confinarie del Friuli guardano con preoccupazione la gestione della mobilità tra Stati ai tempi del Coronavirus, che pare ancora lontana dal trovare una soluzione. La sensazione è che manchi la cooperazione tra Paesi, nel caso specifico Italia, Austria e Slovenia, di fondamentale importanza per chi condivide con chi abita oltre confine aspetti sociali ed economici. Da alcuni giorni, su spinta dei sindaci di Bovec e Kranjska Gora, la Slovenia ha riattivato il valico del Predil e quello di Ratece (Fusine) che erano chiusi dall’11 marzo. Riaperture, però, parziali con limitazioni di orario (dal lunedì al sabato, dalle 6 alle 9 e dalle 15 alle 18), per le sole necessità economiche e agricole e destinate ai soli frontalieri. E mentre per gli italiani il divieto di espatrio rimane, molti austriaci telefonano al posto di frontiera di Thoerl-Maglern per capire se e quando potranno ricominciare a venire a Tarvisio. Un aspetto da non sottovalutare, specie per chi pensa che senza austriaci, Tarvisio sia destinata a morire.
Il tessuto economico locale - abituato a convivere con le comunità vicine carinziana e slovena tanto da aver fatto motivo di vanto il condividere questa parte delle Alpi con altri popoli e culture - è messo a dura prova dall’impossibilità di muoversi tra Friuli e Carinzia e in molti temono che l’incertezza sulla riapertura dei confini possa trasformarsi nel colpo di grazia. Una situazione che da una parte ha portato il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia - Vivi Tarvisio a presentare un’interpellanza urgente in cui «insieme ai sindaci di Gorizia e Trieste, città che come Tarvisio vivono da sempre sull’indotto delle attività economiche di confine« si chiede al sindaco Renzo Zanette di agire con il presidente della Regione affinché «si attivi con il Governo nazionale per evitare le gravi ricadute a cui è legato il destino economico e lavorativo delle comunità locali», dall’altra ha spinto i Comuni di Tarvisio e Malborghetto - Valbruna ad azioni integrative a quelle statali e regionali volte alla ripresa promettendo, ad esempio, sgravi fiscali e riduzione delle tasse.
ALBERGHI E RISTORANTI
«Alcuni, tra cui io stesso, stanno pensando di non riaprire proprio - racconta Francesco Baraldo del ristorante Altro Gusto di Tarvisio - senza gli austriaci, per alcuni l’80% del fatturato, il gioco non vale la candela.

Il tarvisiano non sopravvive con i soli turisti italiani. Se non si fa in fretta, in pochi mesi si bruceranno anni di investimenti». Baraldo vedrebbe di buon occhio riaperture mirate magari alla macroregione Alpe Adria. «L’Austria vuole aprirsi verso la Germania? Fedriga candidi anche il Friuli dove, dati alla mano, il virus sembra sotto controllo. Promuoviamo la nostra regione come zona verde da contrapporre alle zone rosse di mesi fa». «Austriaci sì, ma non solo», spiega Benvenuta Plazzotta del Dawit. «Senza austriaci dovrei licenziare quattro dipendenti, ma non per questo dobbiamo darci già per morti». La cura? Un nuovo modo di lavorare: «Pensiamo agli italiani che dopo due mesi di quarantena vorranno uscire. Facciamo scoprire il nostro territorio attraverso un’esperienza diversa dal semplice sedersi e mangiare». Plazzotta è convinta che piangersi addosso non sia la strada giusta: «La gente non andrà dove gli operatori economici pensano di non sopravvivere». La riapertura dei confini resta importante: «Gli stessi austriaci non vedono l’ora di venire da noi. Un carinziano ha chiesto a un collega di predisporre un buono da mille euro da spendere non appena potrà tornare qui. Una mia cliente, invece, mi ha chiesto perché, visto che a Tarvisio e in Friuli i casi sono pochi, Fedriga non spinga per consentire agli austriaci di entrare almeno in Valcanale». Un segnale che anche oltre confine si fa il tifo per Tarvisio.

Ultimo aggiornamento: 08:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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