Il conte mecenate che ha raccolto le memorie di mezzo millennio

Domenica 11 Febbraio 2018 di Paola Treppo
Il conte Michele Formentini e il museo di Aiello
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AIELLO DEL FRIULI e GORIZIA - Erano gli anni Cinquanta del secolo scorso quando gli stili di vita hanno cominciato a mutare irreversibilmente. Da allora, complici il progresso tecnologico e la voglia di nuovo, il lavoro nelle campagne, le abitudini domestiche, le relazioni familiari e le nuove occupazioni hanno portato al progressivo e inesorabile abbandono degli strumenti e degli attrezzi usati per decenni, a volte per alcuni secoli, per guadagnarsi da vivere. Le case hanno mutato i loro interni: arredi, sistemi di illuminazione, tessuti e anche quei pochi decori che ornavano cassepanche e armadi.

​Era la fine di un’epoca
La vita contadina non sarebbe stata più la stessa. E un patrimonio di conoscenze e di memorie rischiava di andare perduto. Ma c’è chi ha deciso di raccogliere tutto quello che aveva rappresentato la vita dei nonni. E dei bisnonni, prima ancora. Degli avi. C’è chi lo ha fatto senza chiedere aiuti economici a nessuno, spendendo tutto di tasca propria. Chi? Il conte Michele Formentini.

Il nobile mecenate di San Floriano del Collio
Questo nobile mecenate di San Floriano del Collio, che a novant’anni esercita ancora la professione di avvocato a Gorizia, continua a raccogliere pure adesso tutto quello di cui le famiglie vogliono liberarsi quando manca un parente anziano. Oggetti e strumenti custoditi con cura per decenni, secoli, ma di cui, nella maggior parte dei casi, si è persa la storia, la conoscenza dell’uso e del modo di aggiustarli, la fabbricazione e l’impiego.

Un museo ai confini 
Nasce così, con l’acquisizione di un grande complesso agricolo, ad Aiello del Friuli, al confine tra quello che un tempo era territorio austroungarico e il Regno d’Italia, il Museo della Civiltà Contadina e del Friuli Imperiale. È uno spazio espositivo privato, enorme, di libero accesso a tutti. La raccolta degli oggetti prende concreta forma 25 anni fa e non si limita a una sistemazione di oggetti e attrezzi da lavoro nelle stanze, entro teche, sugli scaffali.

Per trasmettere la memoria 
Il conte non vuole una collezione fine a sé stessa: vuole trasmettere la conoscenza a chi verrà dopo di lui: è un raccoglitore di storia dedicato alle nuove generazioni, perché possano capire quali sono state le loro origini. Per questo il mecenate fonda una onlus e incarica un esperto cui è affidato un compito che va avanti da un quarto di secolo: fotografare e catalogare tutto quello che è stato raccolto. Un lavoro immane, di fatto senza fine. Che comprende anche l’informatizzazione degli oggetti esposti e una prossima messa in rete del materiale recuperato in questa specifica zona del Friuli.
 

 


Esposti 20mila oggetti
Il museo è stato allestito all’interno di diversi fabbricati, di varie epoche, che costituivano, un tempo, i corpi di fabbrica di un’azienda agricola. Il complesso, che si affaccia su un vasto cortile, conta quattro edifici realizzati in epoche che vanno dal 1700 al 1900. Organizzato sostanzialmente su due piani, in lunghissime stanze, questo contenitore di memorie più di 20mila testimonianze della vita contadina della Imperiale Contea di Gradisca e di Gorizia. Alcuni strumenti arrivano anche dalla parte italiana.

Novemila metri quadrati di esposizione
Spicca la differenza tra queste due terre che furono di confine: più avanzati, resistenti e innovativi gli attrezzi del goriziano rispetto ai “cugini poveri” del Friuli “italiano”. In questo museo oggi si conservano pezzi che vanno dal 1500 al 1918. Di alcuni strumenti, come gli aratri, c’è una vera e propria cronologia degna di una tesi di laurea: in cento esemplari, realizzati e usati in mezzo millennio, si possono osservare le modifiche apportate mano a mano che mutavano le condizioni di lavoro e venivano introdotte delle migliorie. Novemila i metri quadrati di esposizione; tanto che adesso lo spazio comincia a scarseggiare.

La storia dell’illuminazione
Tra le tante curiosità una macchina per fare la polenta, di fine 1800, la macchina a molla sempre della stessa epoca per fare girare l’arrosto, un mobile ghiacciaia con spessi fogli di alluminio per con vani per il ghiaccio, che conservasse i cibi. E, ancora, armature in ferro, perfettamente restaurate, pinze e tenaglie da fabbro di ogni foggia ed epoca, l’angolo della storia dell’illuminazione: dalle candele alle lampade a olio, per passare a quelle a carburo e finire con i primi, “moderni” interruttori in ceramica con i loro cavi elettrici esterni. Alcuni oggetti in metallo sono stati sistemati all’esterno del complesso. Sotto a una enorme tettoia due gigantesche trebbiatrici: una è del’800 e funziona ancora, l’altra è del 1900.

Tutto il restauro 
Accanto al meticoloso lavoro di catalogazione c’è anche quello non poco oneroso del restauro: a pagare è sempre il conte. Smessa la toga, il mecenate non perde tempo e va a curare lui stesso i roseti che crescono nel grande cortile interno: sono tutte rose antiche. Conosce la loro storia e le loro leggende.

Il cortile delle meridiane
Questo spazio, inoltre, ospita una dozzina di meridiane, in omaggio alla tradizione di Aiello l’immortale segna tempo. Un luogo di incontro anche per chi vuole solo passeggiare, immerso del silenzio di uno spazio dove in realtà le lancette dell’orologio si fermano. C’è anche una graziosa osteria con cucina arredata con mobili d’epoca, molto semplice, rustica, la cui sala da pranzo è stata ricavata in una ex stalla.
Il museo è sempre aperto la domenica pomeriggio. All’esterno c’è il numero della custode da chiamare in caso non si trovi “anima viva”.

Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio, 15:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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