UDINE - Ti faccio anche di peggio. Sarebbe suonata pressappoco così la frase pronunciata dall'accompagnatore di un paziente straniero (forse pakistano) che martedì sera, verso le 22.30, avrebbe aggredito verbalmente un dottore che era di turno in guardia medica in una sede di continuità assistenziale. Un episodio che segue di tre settimane quello avvenuto, sempre in guardia medica, ma a Udine, quando due specializzande, Adelaide Andriani e Giada Aveni, erano state aggredite dall'accompagnatore straniero di un malato nel parcheggio fuori dalla sede. Nel caso udinese, l'uomo aveva messo le mani al collo di Andriani e tentato di tirare un calcio ad Aveni. Nel caso accaduto martedì sera, invece, a spaventare il medico (proprio per tutelarlo, si è scelto il riserbo sul luogo e sul nome) sono state le parole di quell'uomo arrivato in ambulatorio. Come nel caso di Andriani, che era già stata vittima due volte di aggressioni (una verbale e una no), anche in questo caso il medico finito nel mirino di un estraneo avrebbe già fatto i conti, in passato, con altri episodi molto spiacevoli.
LA RICOSTRUZIONE
IL SINDACATO
Stefano Vignando, presidente Snami Fvg conferma: «Ho saputo dell'aggressione verbale al medico di continuità assistenziale martedì sera. C'è un testimone, ossia il collega che era presente in sede. Tuteleremo il medico aggredito. Queste persone sono entrate, come era accaduto anche al Gervasutta, senza appuntamento. Sembra non sia servito a nulla tutto ciò che è successo sinora, tutte le parole, le garanzie, gli incontri, gli impegni. Mi chiedo quando finalmente si riuscirà a garantire nei fatti la sicurezza dei medici di continuità assistenziale», sbotta Vignando. «Se invece di essere senza mascherina, avessero avuto un coltello, cosa sarebbe successo?», si domanda, per assurdo, Vignando. Il presidente Snami si chiede come abbiano potuto quegli uomini arrivare all'ambulatorio senza alcun filtro, in una struttura dotata di portineria. «Nessuno si preoccupa di dare i dovuti ordini di servizio a chi deve fare cosa. Le porte devono essere chiuse. Da una vita propongo che le sedi di continuità assistenziale siano in luoghi ignoti e anonimi. Lì il medico riceve le chiamate e decide chi andare a visitare a casa e chi no. Non esiste un ambulatorio di continuità assistenziale nella stessa sede in cui c'è il servizio».
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout