​160 tipi di fagioli diversi ma pochi li
mangiano: «Fanno far le puzzette»

Venerdì 7 Ottobre 2016 di Paola Treppo
160 tipi di fagioli diversi ma pochi li mangiano: «Fanno far le puzzette»
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FRIULI VENEZIA GIULIA - Incredibile, ma vero: i fagioli non si mangiano più, e di conseguenza non si coltivano più, perché mangiarli fa fare le “puzzette”, cioè crea flatulenza. «Le coltivazioni di fagioli in Friuli Venezia Giulia sono quasi inesistenti pur avendo, questa terra, ben 160 specie diverse, autoctone, del buon legume. Un po’ perché è passato di moda, col cambio dello stile alimentare, e la preferenza data a formaggio e carne, ma soprattutto perché il fagiolo crea flatulenza; pare assurdo ma è così. È questo il vero disagio del fagiolo. Ed è per questa ragione a gente non lo mette in tavola, non solo in Friuli ma anche nel resto dell’Italia e in generale nei Paesi Occidentali» spiega Fabiano Miceli, professore associato del Dipartimento di scienze agroalimentari, ambientali e animali dell’Università di Udine.
 
Proteggono dal cancro 
«È un vero peccato che non si mangi più fagioli e che in Friuli ci siano solo pochi ettari dedicati al legume perché, negli ultimi anni, stanno emergendo novità molto interessanti: metterlo in tavola 3 o 4 volte a settimana contribuisce alla lotta contro l’obesità perché abbassa il picco glicemico, contrariamente ad altri alimenti “popolari” di più largo consumo, come le patate o il pane bianco, non raffinato, che fanno “tornar” fame subito, e quindi ingrassare, con il rischio di diabete, soprattutto negli anziani». C’è di più: «Lavori e studi scientifici solidi, eseguiti in America, riconosciuti, danni indicazioni sul consumo delle farine di legumi correlata alla riduzione del rischio del cancro; lo studio è stato fatto su cavie da laboratorio e ha dato chiare evidenze. Ripensiamo quindi al fagiolo».

Adesso costano di più 
Del fagiolo s’è detto un po’ tutto: che è la carne dei poveri, che fa bene, che costa poco. «In realtà non è vero che sia così a buon mercato: negli ultimi anni quelli locali costano di più. Il problema è che non c’è un marchio, che non si fa gruppo, che ognuno va per conto suo. C’è stato un progressivo calo dei consumi dagli anni Sessanta ed è caduta anche la coltivazione; sono passati i tempi di riso e piselli, per restare sul tema legumi, e della buona e vecchia pasta e fagioli, o dei ceci. Sono decollati formaggio e carne di maiale».
 
Maxi importazioni dalla Cina 
E c’è chi la pensa in altro modo ancora, come la Cina: «Il governo cinese, per soddisfare i cinesi, sta comprando incredibili quantità di soia, che è pure un fagiolo, importata dall’America, da dare poi da mangiare ai maiali. Un argomento che potrebbe avere risvolti interessanti, in termini di salubrità del cibo e sostenibilità del pianeta».
 
Ma da dove arrivano i fagioli che mangiamo?
«In Italia da Cuneo, perlopiù. Questo legume può essere rampicanti o nano. Quello nano viene raccolto con le macchine e quindi costa meno. Quello rampicante va raccolto a mano e costa di più. I fagioli che nel supermercato compriamo a 3 euro o giù di lì al chilo arrivano quasi tutti dall'estero, dal Michigan, o dall’India. In Michigan ci sono vastissime coltivazioni che vengono diversificate in base ai diversi gusti del mercato europeo; per noi italiani, ad esempio, ne coltivano uno simile al borlotto, raccolto con la mietitrebbia. E poi, da noi, ci sono i fagioli di montagna, ridotti però a piccoli fazzoletti di terra, coltivati dalle signore anziane, più che altro per passione. Nel mondo, c’è da dire, che il fagiolo è tra le prime dieci piante coltivate, con 27 milioni di ettari. In Italia è arrivato con il secondo viaggio di Cristoforo Colombo, e in Friuli e in Italia, quindi, ha avuto tempo per quasi mezzo secolo per diventare autoctono. Oggi, in Fvg, grazie a una ricerca finanziata dalla Regione, abbiamo individuato 160 specie diverse, tutte da salvaguardare e recuperare»
Ultimo aggiornamento: 8 Ottobre, 10:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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