Dalle terrazze sul mare del Carso rinascono le bollicine: ecco il Prosekar

Mercoledì 26 Agosto 2020 di Elena Filini
Dalle terrazze sul mare del Carso rinascono le bollicine: ecco il Prosekar
TRIESTE - Gradini e ancora gradini. E vigne a strapiombo sul mare. Dove non arrivano strade. E dove l'acqua è un miraggio salato all'orizzonte. Decine di metri lineari di muretti a secco, masegno e pietra d'Istria. C'è un'altra Trieste sulle terrazze che scendono ripide verso Miramare: è il giardino del Carso, il luogo dell'antica viticoltura eroica. Qui glera, vitoska e malvasia hanno costituito per centinaia di anni il cuore dell'economia di Trieste. Fino alla seconda guerra mondiale. Poi l'abbandono: ma quattro anni fa un gruppo di giovani innamorati di queste colline ha scelto di ritornare e recuperare l'antica viticoltura. Sono gli irriducibili del Prosekar: laureati e professionisti che hanno lasciato la città e sono risaliti alle case dei propri padri. Per diventare agricoltori. 

IL TERRITORIO
C'è un Carso di mare, che affaccia sull'Adriatico. Un Carso di italiani di minoranza slovena, attaccati radicalmente a queste pietre. Che con testardaggine e passione infinita stanno riscoprendo i terrazzamenti, strappando al bosco gli antichi terreni della viticoltura. Cercando di muoversi in un infinito mosaico di terreni singoli e comunelle, gli appezzamenti concessi dal governo asburgico alle comunità. «Mio nonno sul letto di morte mi chiamò per rivelarmi la ricetta del Prosekar e chiedermi di tramandarla. Si fa con le uve migliori e si conserva nel luogo più fresco della casa» racconta Zarko Bukavec. Malvasia, Glera, Vitoska e un processo di spumantizzazione naturale, fatto di travasi. Ecco l'antico prosecco del Carso, la bollicina dei giorni di festa. Una tradizione conservata per via orale e strappata all'oblio dall'associazione Prosekar fondata nel borgo di Prosecco nel 2017.
Alessio Štoka, Valentino Juretič, Katrin Štoka e Žarko Bukavec  hanno dai 35 ai 48 anni. Laureati, professionisti, all'inizio agricoltori part-time hanno iniziato sempre più a dar corpo ad un sogno: far tornare il Carso la vigna di Trieste. E riscoprire il bello di queste colline brulle, tra storie di identità contese, tradizioni agricole ed eccellenze eno gastronomiche. «Mio padre è di origine dalmata: furono proprio loro nel Settecento a diventare i viticoltori degli Asburgo su questi pendii- spiega Stoka - Il vino non è solo una passione. Sogno che il Carso ritrovi la sua centralità nel turismo eno gastronomico». 

LA RICETTA
I nuovi viticoltori hanno incominciato a produrre il vino con l'antico metodo di fermentazione naturale. La ricetta originale del 1873 prevede il travaso del mosto in cantina per una luna. «L'iperossigenzione - assicura Stoka - è una tecnica per non usare solfiti. Si inizia con due travasi al giorno e il processo dura fino a 20 giorni. Poi si imbottiglia il vino con i residui zuccherini e si fa riposare il vino in cantina (o in grotta) per 1 anno. Questo è il metodo ancestrale». Il Prosekar si produce in tanti micro appezzamenti che guardano il mare, in quella che da molti è chiamata la Cartizze triestina. Tre frazioni: Prosecco, Santa Croce e Contovello. Qui i vitigni a strapiombo sono accarezzati dal sole e da un microclima che esclude la bora.

IL GRANDE VECCHIO
Edi Bukavec,71 anni, ex sindacalista agricolo della minoranza slovena, ha riunito intorno a sè il gruppo dei giovani. «La terra ci chiama» ha spiegato, consigliando e formando l'attuale associazione Prosekar. I figli Vesna e Zarko hanno fondato un'azienda agricola dove, insieme al Prosekar, alla Malvasia e al Rosso del Carso, si producono salumi. «Noi crediamo che una rinascita sia possibile - riflette Vesna, 35 anni - io sono nata tra le vigne, ho respirato l'amore di mio padre per i nostri luoghi e ho deciso di rimanere qui con la mia famiglia e di far crescere l'azienda agricola». 
Il sogno di questi giovani agricoltori è di far tornare il Carso ad essere un luogo di turismo e agricoltura, facendo leva su una viticoltura di basso impatto, tutta concepita secondo metodi bio. Igor Vodopivec lavora in banca mentre Valentino Juretic è un tecnico per la riparazione di macchinari industriali. «Ma la vera felicità è in vigna - assicurano- quando d'inverno il microclima del mare ci protegge dalla bora e prepariamo le viti con la vista persa nel Golfo». 

L'ACCORDO CON LA DOC
Il lavoro e l'intraprendenza dei giovani viticoltori, sostenuti da due nomi di riferimento per il Carso come Andrej Bole ed Edi Kante, ha convinto anche la Doc Prosecco che con un protocollo di intesa (e la promessa di non mettere i bastoni tra le ruote al nuovo Prosecco Doc Rosè) si è impegnata a valorizzare la viticoltura eroica sul Carso. «Il riconoscimento da parte della Doc Prosecco è un passo essenziale per dare valore alla nostra battaglia. Siamo un prodotto di nicchia, che non farà mai grandi volumi ma che è intimamente legato al territorio. Il vino - conclude Stoka - è un modo di ridare valore ad una Trieste solo apparentemente minore». Sloveni e Dalmati, portati sulle colline dagli Asburgo alla fine del Seicento, erano i grandi produttori di vini del Carso. Oggi i loro eredi sono decisi a ridare slancio alla produzione antica. E il 25 settembre sul Carso arriveranno la ministra dell'agricoltura Teresa Bellanova e la sua omonima slovena Aleksandra Pivec. La città di Maribor ha donato all'associazione un tralcio di vite: saranno le due ministre a piantarlo all'interno della casa del Prosecco, nel cuore della frazione omonima. 
Il borgo di Prosecco, stretto tra i boschi, la trattoria sociale e i circoli della minoranza, con le sue case di pietra e la piazza minuscola, torna ad essere crocevia di un antico sapere viticolo, espressione dello speciale melting pot che qui dopo guerre, deportazioni e violenze ancora recenti, ha scelto di riedificare un futuro di tolleranza grazie al ritorno alla terra. 
 
Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 00:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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