Morto a 108 anni Boris Pahor, grande scrittore sloveno: cittadino italiano, raccontò le tragedie del '900

Lunedì 30 Maggio 2022
Boris Pahor (foto Wikipedia)
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TRIESTE - Il grande scrittore e intellettuale di lingua slovena di Trieste, Boris Pahor, è morto all'età di 108 anni.

Ne dà notizia l'agenzia di stampa slovena Sta. 

Nato a Trieste nel 1913, Pahor è considerato il più importante scrittore sloveno con cittadinanza italiana e una delle voci più significative della tragedia della deportazione nei lager nazisti, raccontata in Necropoli, ma anche delle discriminazioni contro la minoranza slovena a Trieste durante il regime fascista, L'intellettuale, testimone in prima persona delle tragedie del Novecento, ha scritto una trentina di libri tradotti in decine di lingue, tra cui Qui è proibito parlare, Il rogo nel porto, La villa sul lago, La città nel golfo. I funerali di Boris Pahor si terranno martedì 7 giugno nel cimitero di Sant'Anna a Trieste: alle 11 sarà celebrata la messa in suffragio e alle 12 sarà tumulata la salma. Lo ha annunciato la famiglia dello scrittore.

Sopravvisse ai lager nazisti

Lo scrittore, di madrelingua slovena, testimone delle discriminazioni verso la minoranza slovena nella Venezia Giulia, sopravvissuto ai lager nazisti, difensore della dignità e della libertà dell'individuo, degli umiliati e degli offesi, è morto nella sua casa di Trieste all'età di 108 anni. Pahor, che per la drammaticità della sua opera è stato accostato ad autori come Primo Levi, Robert Antelme e Imre Kertész e più volte candidato al Nobel per la Letteratura, si è spento nel sonno alle 4 di questa mattina, come ha confermato la sua famiglia all'Adnkronos. Nato a Trieste il 26 agosto 1913 da genitori sloveni, all'età di 7 anni assistette all'incendio del Narodni Dom, sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste: un'esperienza che lo segnò per tutta la vita, che affiora spesso nei suoi romanzi e racconti. Dopo aver frequentato il liceo classico presso il seminario di Capodistria, nel dopoguerra si laureò in Lettere all'Università e quindi, si dedicò all'insegnamento della letteratura italiana.

Il ritorno a Trieste

Arruolato e mandato al fronte in Libia, tornò a Trieste dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, ma venne arrestato dai nazisti e quindi internato in vari campi di concentramento in Germania e in Francia. Sopravvissuto alla tragica esperienza dei lager, al termine del conflitto a Trieste aderì a numerose imprese culturali social-democratiche e divenne uno dei più importanti punti di riferimento per la giovane generazione di letterati sloveni. La sua opera più nota è «Necropoli» (Fazi), romanzo autobiografico sulla prigionia a Natzweiler-Struthof. È stato tradotto in francese, tedesco, serbo-croato, ungherese, inglese, spagnolo, italiano, catalano e finlandese. La vita dello scrittore è strettamente legata agli eventi storici della sua terra d'origine, dall'epoca della dominazione dell'impero asburgico al fascismo, e all'esperienza della comunità slovena, tra i due conflitti bellici e nel secondo dopoguerra, che ha messo al centro dei suoi libri, una trentina tra narrativa e saggistica.

L'entrata nelle truppe partigiane

A Trieste inizia a frequentare la cerchia degli antifascisti sloveni e in seguito si unisce alle truppe partigiane slovene che operano nella Venezia Giulia. Nel 1955 descrive quei giorni decisivi nel romanzo «Città nel golfo» (Bompiani, 2014), con il quale diviene celebre nella vicina Jugoslavia. Tradito da una delazione, viene catturato dai nazisti, torturato dalla Gestapo e infine deportato nei lager nazisti tra il gennaio 1944 e il 1945, una vicenda tragica - rievocata nelle pagine di «Necropoli» - che ha dato un'impronta decisiva a tutta l'opera successiva. La deportazione lo porta nei campi di concentramento di Dachau, Markirch, Natzweiler-Struthof, Harzungen e Bergen-Belsen. Quando, nell'aprile del 1945, il campo di Bergen-Belsen viene liberato dalle truppe britanniche, Pahor, con la salute fortemente minata, esce dal lager con altri tre compagni francesi. Raggiunge Parigi dove gli viene diagnosticata la tubercolosi e viene mandato in un sanatorio a Villeurs-sur-Marne, dove incontra una giovane infermiera che lo riporta alla vita attraverso l'amore. Il ritorno alla vita è stato descritto nel romanzo «Una primavera difficile». 

La laurea nel 1947

Pahor rimane nel sanatorio francese fino al mese di dicembre del 1946, quando torna a Trieste perché la salute della sorella Marica sta peggiorando e lei vuole ancora rivederlo e, soprattutto, vuole vederlo laureato. Pahor si laurea l'11 novembre 1947, discutendo la tesi dal titolo «Espressionismo e neorealismo nella lirica di Edvard Kocbek», con l'esimio slavista Arturo Cronia (il testo è stato pubblicato dall'Ateneo di Padova nel 2010). Il ritorno a Trieste è segnato dalle lotte politiche per il destino della città, dalla scissione provocata dalla risoluzione dell'Informburo nel 1948 e che segna la frattura tra Tito e Stalin, dalla situazione precaria in cui Pahor si ritrova a vivere. Collabora da subito alle riviste «Razgledi» e alle successive «Tokovi» e «Sidro», di cui è cofondatore e direttore. La situazione politica e la crisi intima di questi anni sono state descritte da Pahor nel romanzo «Dentro il labirinto» (Fazi, 2011). Nel 1948 esce la sua prima silloge di prose brevi dal titolo «Il mio indirizzo triestino», da cui, nel 2010, è stata tratta una sceneggiatura per la regia di Giorgio Pressburger. Il 30 ottobre 1952 si sposa con Franciska Radoslava Premrl (1921-2009), scrittrice e traduttrice, sorella dell'eroe nazionale sloveno Janko Premrl, dalla cui unione sono nati i figli Maja e Adrijan.

L'insegnamento e l'isolamento

Nel 1953 Pahor entra in ruolo come insegnante di letteratura slovena e poi di quella italiana alle scuole medie inferiori e quindi a quelle superiori con lingua d'insegnamento slovena a Trieste, incarico che ha ricoperto fino al 1975. Dal 1966 al 1991 Pahor ha diretto la rivista «Zaliv» che diviene, negli anni, unica tribuna slovena libera e indipendente in cui Pahor accoglie anche autori della dissidenza e della diaspora politica slovena. Nel contesto della rivista Pahor istituisce anche una collana di pubblicazioni di interesse perlopiù storico-letterario. Nel 1975 la collana pubblica un libro, firmato dallo scrittore Alojz Rebula e dallo stesso Pahor, dal titolo «Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca», in cui Kocbek, capo dell'ala cristiano-sociale del Fronte di liberazione sloveno, denuncia gli eccidi dell'immediato dopoguerra, perpetrati dall'esercito jugoslavo e con la connivenza delle truppe britanniche nei confronti di migliaia di collaborazionisti sloveni. Questo j'accuse, considerato uno dei documenti più importanti della storia slovena del secondo dopoguerra, provoca nella Jugoslavia comunista una reazione politica di proporzioni enormi, con echi europei: a Pahor viene vietato per due volte e per lunghi periodi l'ingresso in Jugoslavia. Sono anni di isolamento, in cui Pahor diviene persona non grata, le sue opere non sono prese in considerazione dalla critica, vessato e diffamato anche da alcuni suoi vecchi collaboratori che si rivelano persone di fiducia del regime titino fuori dai confini jugoslavi.

I libri, i riconoscimenti

Nel 1986 a Parigi, in occasione della mostra «Trouver Trieste» al Centre Pompidou, Pahor conosce il filosofo Evgen Bavcar che gli presenta il suo primo editore francese. Il capolavoro «Necropoli» cominciò così la sua ascesa nel mondo (oltre venti traduzioni), tanto da essere considerato un grande classico della letteratura del Novecento. Scritto in sloveno nel 1967, «Necropoli» appare in traduzione italiana di Ezio Martin dalle Edizioni del Consorzio culturale del Monfalconese nel 1997 e nella sua versione definita da Fazi nel 2008 (traduzione di Ezio Martin, revisione di Valerio Aiolli, prefazione di Claudio Magris). Tra i suoi libri figurano: «Così ho vissuto. Biografia di un secolo» (con Tatjana Rojc, Bompiani, 2013), «Figlio di nessuno. Autobiografia senza frontiere» (Rizzoli, 2012), «Dentro il labirinto» (Fazi, 2011), «Qui è proibito parlare» (Fazi, 2009), «Una primavera difficile» (La nave di Teseo,2016), «Tre volte no. Memorie di un uomo libero» (Rizzoli, 2009). Pahor ha vinto numerosi riconoscimenti: il Premio Internazionale Viareggio-Versilia (2008); il Premio Preseren, maggiore onorificenza slovena nel campo culturale (1992); il Premio San Giusto d'Oro (2003); il Premio Napoli (2008) per «Necropoli»; il Premio Letterario Internazionale Alessandro Manzoni - Città di Lecco per l'autobiografia «Figlio di nessuno» (2012). Nel 2007 è stato insignito con la onorificenza francese della Legion d'onore e nel 2008 gli è stato conferito il Premio Resistenza per il libro «Necropoli» ed è stato eletto «Libro dell'Anno» da una giuria di oltre tremila ascoltatori del programma di Radio3 Rai, dedicato ai libri, Fahreneit.

Ultimo aggiornamento: 17:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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