TRIESTE - «Voglio che mi dimostrino scientificamente che Liliana si è suicidata. Solo allora avrò un po' di pace e farò i conti con la mia coscienza per non aver capito nulla di mia sorella». A parlare con il Corriere della Sera è Sergio, il fratello di Liliana Resinovich. Scomparsa un anno fa a Trieste, dopo 22 giorni fu trovata morta nel bosco dell'ospedale psichiatrico, a due chilometri da casa. Secondo le analisi della Procura si sarebbe suicidata. Il fratello non ci crede: «La conoscevo molto bene. Non aveva turbe. Era felice».
Credo, dice l'uomo, «che l'atto del suicidio sia stato montato, come una sceneggiata, per farlo sembrare tale. Il marito (Sebastiano Visintin) li ha male instradati. Ha parlato di allontanamento spontaneo. Così si è perduto tempo. Il giorno della scomparsa avevo chiamato al telefono mia sorella. Ha risposto il marito. È uscita e ha lasciato il telefono in casa. Era una donna precisa. Figurarsi se usciva senza telefono, soldi e green pass». Ma il Dna lo scagiona. «Il Dna non era completo. Non si è riusciti a capire a chi appartenesse. Io credo che sia morta il giorno della scomparsa». Il marito «mi ha sempre preso in giro. Quando dicevo 'andiamo a cercarla' rispondeva di aspettare». Se il suicidio dovesse diventare verità ufficiale della procura? «Chiederemo la riesumazione del cadavere per altre analisi».