Fragolino, Clintòn e il fascino di quei vini proibiti ma entrati nella storia del Nordest

Un convegno a Cappella Maggiore approfondisce la vicenda di vitigni e nettari vietati dal fascismo. Nella collana di Kellerman curata da Costacurta e Tazzer un nuovo volume dedicato a questi "vini della sopravvivenza"

Venerdì 25 Novembre 2022 di Elena Filini
Vitigni "proibiti", un convegno ne approfondisce la storia a Nordest

TREVISO - C'è chi, al solo nome, chiude gli occhi e si commuove. Clintòn (alla veneta), Bacò. Nomi che ricordano i primi azzardi, il rito di passaggio tra infanzia e adolescenza in una società contadina e minimal. Pergole d'estate, bottiglie in inverno, allegria da pochi spicci, feste familiari, profumi della memoria che ispirano sinestesie proustiane. Quelle uve perdute sono le uve di una giovinezza ancora intrisa di guerra, di un mondo che si avviava a scomparire anche a colpi di leggi. «Dobbiamo così spiegare anche la bontà del Clinto? - si chiede Mario Soldati in una lettera a Giorgio Bassani -.

Dobbiamo attribuire questa bontà ad un'arte raffinatissima nella sua umiltà, un'arte che in queste terre chiuse tra i monti e remote non solo dall'Italia, ma dal rimanente dello stesso Veneto, si è conservata più a lungo, così come la bellezza del paesaggio? Qualcuno afferma che la qualità di un vino è dovuta al terreno molto più che al vitigno. Bisognerebbe ampliare il significato della parola terreno, includendovi i metodi tradizionali e locali con cui si coltivano le vigne e si pigia il vino».

LA RINASCITA
Non è per revanscismo, ma per affetto che l'editore Kellermann con la collana Grado Babo ha deciso di occuparsi di vini proibiti, quei vitigni resistenti e generosi che diedero cura alla sete soprattutto maschile dopo che l'Europa fu battuta dalle grandi pestilenze parassitarie di metà Ottocento. Fragolino, Clinto, Clintòn e Bacò: ibridi democratici e di sussistenza, negli anni Trenta banditi da una legge mussoliniana che mirava a posizionare la viticoltura ad un grado superiore e ad evitare speculazioni e massificazione dei prezzi. La nostalgia, soprattutto a Nordest, è rimasta. E, per fortuna, anche alcuni vitigni storici in via di amorevole recupero. Domenica alle 17 a Cappella Maggiore un seminario (prenotazione obbligatoria: bit.ly/VitigniRibelli info: valentina.ricesso@comune.cappellamaggiore.tv.it cell: 348.7234614) inizierà a raccontare di nuovo la storia dei vini proibiti. La collana editoriale Grado Babo, curata da Angelo Costacurta e Sergio Tazzer, si arricchisce con il suo decimo volume, che analizza la situazione vitivinicola di metà Ottocento dopo l'arrivo e la diffusione in Europa di tre gravi e dannose avversità parassitarie, che minacciavano la sopravvivenza dei tradizionali e autoctoni vitigni. Il problema della fillossera, origine dei malanni crittogamici europei, venne gradualmente superato ricorrendo all'innesto di varietà da frutto su piede americano. La soluzione di sostituire i vitigni malandati con gli ibridi, varietà resistenti che non richiedevano trattamenti antiparassitari se non un po' di zolfo, prima di origine americana e poi ottenuti in Europa, prese piede per contrastare i danni causati da peronospora e oidio: un fenomeno che ebbe ampia diffusione nelle aree viticole venete e che portò alla produzione del vino Fragolino, Clinto, Clintòn, Bacò.

LA PRODUZIONE
Vini allora considerati mediocre qualità, ottenuti da varietà che producevano uva in grande quantità, ma che hanno fatto storia per quanti rimasti sul posto come pure per quanti emigravano portando con sé qualche marza di vite. «Parlare dei vitigni/vini proibiti o ribelli - si legge nella prefazione al libro - significa ritornare indietro di circa centosettant'anni, per capire il perché della loro storia, nata per le necessità emerse nei principali Paesi viticoli dell'Europa e non per puro e semplice interesse di innovazione». Il volume apre con una parte storica in cui Sergio Tazzer racconta come durante la Grande Guerra questo fu il vino della sopravvivenza, prima di tutto economica, per migliaia di contadini stremati e poi anche di conforto per i loro figli e parenti in trincea. «Che vino era? «Il Clintòn», avrebbero risposto, e se non era Clintòn magari invece era di altra uva americana, come l'Isabella nota anche come Fragola oppure il Bacò o altro». L'Isabella è conosciuta con vari nomi in diverse parti del mondo: Uva fragola, Raisin fraise, Garden's red-fox, Raisin framboise, Raisin du Cap, Sainte-Héléne, Isabelle d'Amerique. È l'ibrido produttore diretto più antico introdotto in Europa e il solo a essere coltivato prima dell'arrivo della fillossera. La sua origine è quasi certamente il Nord America. Sarebbe nata nel sud della Carolina da un seme di Vitis Labrusca generatosi da un incrocio naturale con Vinifera e poi portata nel nord degli Stati Uniti. Nel 1816 fu segnalata da William R. Prince, vivaista e studioso, presso il giardino della signora Isabella Gibbs, dalla quale avrebbe preso poi il nome.

IL NETTARE
Il Clintòn è noto negli Stati Uniti fin dal 1835 con il nome di Wortinton; altrove è conosciuto anche come Plant des Carmes, Plant Pouzin. Dal 1870 si iniziò a chiamarlo Clintòn, città dello Iowa da cui provenivano le casse marchiate che trasportavano in Europa le piante di questo vitigno. Il Fragolino bianco, Flaga alba, Otelo belo, Noka, Nova, proviene da un seme di Taylor ottenuto da Wasserzicker in Illinois nel 1869. È una delle varietà più rustiche che si conoscano, molto vigorosa, poco esigente circa la natura del terreno. Germoglia tardi e matura in prima epoca. Resiste bene alla fillossera e viene utilizzata anche per fare vini dolci da uve appassite e distillati come Cognac e Armagnac. Enos Costantini infine con ironia analizza il versante friulano, dove queste uve conobbero analoga fortuna. Muse di Bacò: è con questa poco gratificante, ma pregnante, espressione che vengono catalogati quei personaggi, invero sempre più rari nei nostri paesi, che hanno volti brùmbui, cioè paonazzi, a causa delle libagioni a cui non si sono sottratti. L'espressione viene dal nome di un vitigno che, pur essendosi fatto raro, tuttora adorna alcune delle nostre case, corti e bearzi. «Ne deriva un vino dal carattere forte e di schiena robusta, non a tutti accetto, aborrito dagli enologi, ma parte della nostra storia alimentare, e quindi della nostra storia tout court e, si parva licet, almeno quanto le poesie di Zorutti, gli Alpini e la Democrazia Cristiana».

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 23:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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