Veneto Banca, la difesa di Consoli: «Uomo solo o capo della banda?»

Gli avvocati chiedono il proscioglimento dell'ex manager nel processo per truffa aggravata

Domenica 1 Maggio 2022 di Giuliano Pavan
Veneto Banca, la difesa di Consoli: «Uomo solo o capo della banda?»

TREVISO . «Vincenzo Consoli era stato additato come one man bank e adesso invece è diventato capo e organizzatore di un'associazione per delinquere. Quindi nello stesso periodo abbiamo l'uomo solo al comando e il capo di un sodalizio, un qualcosa che non trova alcun riscontro negli elementi contenuti nel fascicolo d'indagine». Parole dell'avvocato Raffaella Di Meglio, legale dell'ex amministratore delegato di Veneto Banca sotto accusa, appunto, per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata assieme a quattro manager dell'ex popolare di Montebelluna (Renato Merlo, Mosè Fagiani, Andrea Zanatta e Giuseppe Cais).

Ieri, nell'udienza preliminare di fronte al gup Piera De Stefani, era proprio il turno delle arringhe difensive degli avvocati Raffaella Di Meglio e Alberto Mascotto (difensore di Merlo, ndr): entrambi, come avevano fatto sabato scorso i colleghi Boris Cagnin, Alessandro Asdrubali e Giuseppe Pugliese, che difendono gli altri tre imputati, hanno presentato richiesta di proscioglimento per intervenuta prescrizione. Secondo i difensori il reato di truffa si configurerebbe nel momento della vendita delle singole azioni e non, come sostenuto dalla Procura, quando è stato dichiarato lo stato d'insolvenza della banca, ovvero nel giugno 2017.


LE POSIZIONI
Se per l'avvocato Di Meglio il fatto che Consoli non possa essere allo stesso tempo il capo indiscusso di Veneto Banca, quello che decideva da solo ogni cosa, e il promotore di un sodalizio criminale visto che sarebbe una contraddizione in termini, il proscioglimento dell'ex Ad è stato chiesto anche per altri due motivi: «Intanto abbiamo rappresentato che c'è un problema di improcedibilità per violazione del principio del ne bis in idem - afferma il legale - perché Consoli è già stato giudicato (venendo condannato a quattro anni di reclusione per falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza bancaria, ndr) per i medesimi fatti contestati in questa sede. Per quanto riguarda la truffa, Consoli era socio di Veneto Banca e, con la sua famiglia, aveva circa 7 milioni di euro di azioni. I pubblici ministeri hanno ritenuto che per l'ex presidente Flavio Trinca, ma anche per altri dirigenti e per i dipendenti, il fatto di avere delle azioni significasse l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Motivo per cui abbiamo semplicemente chiesto che il parametro di giudizio che ha guidato i pm nel chiedere e ottenere l'archiviazione per quelle posizioni valesse anche per Consoli, che ricordo ha acquistato non solo in sede di aumento di capitale ma anche nel 2015 e nel 2016. In subordine - ha concluso l'avvocato Di Meglio - abbiamo evidenziato la prescrizione di questi fatti che sono stati iscritti nel 2016 dalla Procura di Potenza e non certo per colpa degli odierni imputati sono arrivati a processo soltanto adesso».


IL CDA
L'avvocato Mascotto, nelle sue due ore di arringa, ha evidenziato anche un altro punto su cui la Procura posa le contestazioni: «I pubblici ministeri sostengono che il consiglio d'amministrazione e l'assemblea siano stati indotti in errore dalla pianificazione per stabilire il valore delle azioni. Cosa che invece è stata smentita dalla lettura dei verbali del Cda: tutti nel fissarne il prezzo erano consapevoli di quello che andavano a deliberare, c'erano voci discordanti, ma niente veniva imposto».


LE ACCUSE
Per l'accusa, Consoli, Fagiani, Merlo, Cais e Zanatta «promuovevano una serie indeterminata di delitti di truffa aggravata concernenti la vendita, a condizioni inique, nei confronti dei clienti e potenziali clienti, di titoli azionari e obbligazionari». Il valore delle azioni era stato fissato a 40,25 euro nel 2012, 40,75 nel 2013 e 39 nel 2014, ma i titoli avrebbero in realtà avuto un valore rispettivamente di 9,11 euro, 9,19 e 8,04, stando ai calcoli del professor Angelo Maglietta, che definisce un sovrapprezzo di circa il 70%. Questo meccanismo, secondo la Procura, ha provocato un raggiro da 107 milioni di euro.
 

Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 11:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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