«Veneto Banca, Consoli non agì da solo»

Martedì 10 Maggio 2022 di Giuliano Pavan
Vincenzo Consoli

TREVISO -  «In primo luogo, il Tribunale ritiene che la complessità della struttura della banca non consenta di ritenere che Vincenzo Consoli abbia agito da solo, all’insaputa o previa manipolazione o costrizione di coloro che rivestivano cariche apicali».

Poche righe, in 168 pagine di motivazioni, che pesano come un macigno sulla ricostruzione dei fatti prospettata dalla Procura di Treviso, che ha comunque ottenuto per Vincenzo Consoli una condanna a quattro anni di reclusione e la confisca di beni per 223 milioni di euro. 


LA SENTENZA
I giudici Umberto Donà (presidente del collegio), Alberto Fraccalvieri e Carlotta Brusegan hanno ripercorso ogni singolo passaggio del processo all’ex amministratore delegato di Veneto Banca, giudicato colpevole in primo grado di ostacolo alla vigilanza bancaria e falso in prospetto (per l’aggiotaggio è intervenuta la prescrizione, ndr). Pur “cassando” il ruolo di Consoli come il cosiddetto one man bank, il manovratore, ricostruzione peraltro contestata anche dalle parti civili che avevano chiamato in causa sia il cda che il collegio sindacale, il Tribunale sottolinea che «tale circostanza non comporta l’esclusione della responsabilità di Consoli, che ha impersonato la banca per quasi vent’anni». Profilo evidenziato anche da Bankitalia che, scrivono i giudici, «aveva già censurato l’eccessivo accentramento di poteri nell’organo esecutivo, senza che il cda fungesse da adeguato contrappeso». Dichiarazioni che per la difesa di Consoli, rappresentata dagli avvocati Ermenegildo Costabile e Raffaella Di Meglio, non possono che rappresentare un assist per il futuro ricorso in appello. Anche se nelle conclusioni viene ribadito che «il ruolo di Consoli all’interno dell’istituto di credito per oltre vent’anni, la sostanziale identificazione dell’istituto medesimo nella sua persona, la risalenza nel tempo delle politiche aziendali finalizzate a migliorare l’apparenza del patrimonio di vigilanza nonché a mantenere inalterata la leadership aziendale e, infine, l’assoluta importanza strategica della quasi totalità delle operazioni contestate dagli organi di vigilanza rendono del tutto inverosimile l’estraneità del Consoli alla loro ideazione ed esecuzione». In altre parole: sapeva e organizzava, ma non da solo.


LE INFORMAZIONI
Al di là della figura di Consoli, le motivazioni della sentenza di condanna evidenziano anche gli aspetti che hanno portato all’azzeramento del valore delle azioni, che hanno preceduto lo stato di insolvenza dell’ex popolare di Montebelluna. Nello specifico viene riportato che «le informazioni inviate agli organi di vigilanza sono risultate del tutto difformi rispetto alla reale condizione economica, finanziaria e patrimoniale di Veneto Banca», con una sovrastima di 350 milioni di euro, pari al 14% rispetto all’importo segnalato. Ciò significa che, già al 31 dicembre 2013, la banca «versava in stato di dissesto o, comunque, di gravissima difficoltà economico finanziaria» e l’istituto ha fornito alla vigilanza «una realtà patrimoniale del tutto distorta impedendo un tempestivo intervento».


IL CDA E LE AZIONI
Perentorio il giudizio sui sistemi di controllo interni, cda in primis: «Si sono dimostrati del tutto inerti o proni nello svolgimento dei propri compiti, solo dopo l’uscita di Consoli tali funzioni hanno iniziato a collaborare con gli organi di vigilanza nel far emergere la reale situazione di degrado della banca». E non si discosta la stoccata relativa alla determinazione del prezzo delle azioni a 39,5 euro l’una, scelto sulla base di «una decisione politica volta a mantenere la fiducia degli investitori e della consapevole necessità di mantenere una continuità nel valore delle azioni».
 

Ultimo aggiornamento: 16:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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