TREVISO - Non è più in vendita la villa dove venne commesso l’omicidio Pelliciardi. L’annuncio immobiliare con la descrizione del compendio residenziale è sparito dai siti specializzati.
«Il mio pensiero l’ho espresso – dice Daniele Pelliciardi, il figlio della coppia uccisa nel 2007 -. Secondo me un intervento risolutivo potrebbe arrivare dalle istituzioni: l’Usl oppure qualche fondazione o associazione. Per trasformare il tutto in una struttura con finalità sociali, a supporto di persone in difficoltà. Purtroppo su quella villa c’è l’ombra di quanto avvenne nell’agosto di 15 anni fa quando vennero uccisi i miei genitori. Sono trascorsi tanti anni. Ma, a mio avviso, l’unica via per cancellare il passato è riconvertire radicalmente il tutto».
I PROBLEMI
«Avevo saputo che la casa era in vendita – commenta la sindaca Giannina Cover -. Noi, come amministrazione comunale, non ci pensiamo ad acquistarla. E’ una cosa totalmente improponibile. Se ci venisse donata sarebbe un’altra cosa». Pero, anche nel caso di una donazione, il Comune non potrebbe metterci mano. «In questo momento storico le risorse del Comune sono quelle che sono e non ci consentono di affrontare interventi di così ampio respiro. Capisco ciò che prova Daniele, il figlio dei Pelliciardi e capisco la sua proposta. Come capisco anche i proprietari della casa».
VILLA CHIUSA
La villa è chiusa da quel fatale mese di agosto del 2007. Quando avvenne il delitto i proprietari erano in vacanza. I tre balordi: Artur Lleshi (esecutore materiale dell’assassinio), Naim Stafa e Alin Bogdaneanu erano convinti che non ci fosse nessuno quando entrarono nella proprietà nel cuore della notte. Non immaginavano di trovare il giardiniere e sua moglie. Secondo i malviventi nella villa c’era parecchio denaro. Seviziarono marito e moglie per costringerli a farsi consegnare le chiavi della cassaforte, che però i Pelliciardi non avevano. Dopo averli uccisi fuggirono con pochi soldi contanti e i telefonini. Il figlio Daniele seppe la notte stessa cos’era avvenuto. All’epoca egli lavorava come guardia giurata ed era in servizio alla centrale operativa. Quando il collega lo chiamò, dicendogli di aver trovato una porta aperta alla villa e la luce accesa, Daniele lo pregò di controllare, dato che là lavoravano i suoi genitori. Si scoprì così uno dei delitti più efferati della storia trevigiana.