La truffa della “lucidatura” di arredi sacri è arrivata a sentenza. Il pubblico ministero aveva ipotizzato una condanna pesante: 8 anni di reclusione ciascuno. Ieri mattina il tribunale di Treviso, in composizione collegiale, ha deciso di condannare a tre anni e cinque mesi a testa Ercole e Abramo Hudorovic, i due nomadi di 60 e 30 anni di Paese, padre e figlio, che erano riusciti a spillare, sotto minaccia, 61mila euro a don Elio Girotto, parroco di Campocroce, che si è costituito parte civile con l’avvocato Alessandro Michielan ottenendo una provvisionale immediatamente esecutiva di 10mila euro.
L’ACCUSA
Secondo quanto contestato dalla Procura di Treviso, i due promettevano di rimettere a nuovo arredi sacri spacciandosi per due imprenditori di Milano. Peccato che non avessero mai lucidato in vasche d’oro e argento gli oggetti consegnati dal sacerdote (18 candelabri, 6 croci di cui una a stile e una lampada decorativa). Si sono soltanto limitati a lucidarli arrivando persino a usare sostanze dannose. Il tutto per un preventivo di circa 2mila euro, poi lievitati a oltre 61mila. Una cifra spillata al sacerdote a suon di minacce, facendo leva sulla fragilità emotiva di quel periodo, in cui il religioso era in pensiero per le condizioni dell’anziana madre. «Finalmente si è chiusa una vicenda che per il mio assistito - ha affermato l’avvocato Michielan - è costata davvero molto, soprattutto dal punto di vista emotivo».
LA VICENDA
La vittima dell’estorsione aveva ripercorso la vicenda nel corso delle precedenti udienze. «A un certo punto, era la fine del 2017, ho appreso dai giornali che erano stati arrestati. Subito dopo i carabinieri mi hanno chiamato perché dentro al telefono del più giovane avevano trovato le chat che aveva scambiato con me. A quel punto ho deciso di presentare querela». Al sacerdote Ercole e Abramo Hudorovic sarebbero arrivati all’inizio del 2016. «Mi dicevano che avevano bisogno di lavorare ma io all’inizio non volevo, so come funzionano queste cose - aveva raccontato don Elio -. Poi è arrivata la malattia di mia madre e alla fine ho ceduto, anche perché in fondo si trattava di pochi soldi. Ma, finito il lavoro che in seguito ho saputo non essere stato fatto con bagni di oro vero, da 2mila euro me ne hanno chiesti oltre 50mila. Sono sbottato e loro hanno reagito minacciandomi, dicendomi che “cose brutte possono anche succedere”. Allora ho pagato, un po’ con i miei soldi e il resto con il denaro che veniva dalle offerte dei parrocchiani. Ricordo di aver anche versato due tranche da 36mila e 16mila euro». I due erano finiti in manette a dicembre del 2017. Ora il processo in primo grado è arrivato a sentenza.