Truffa dei bonus, la Guardia di Finanza: «Le vittime rischiano di avere guai con il fisco»

Il comandante De Giacomo: «La prospettiva di utilizzare le casse dello Stato come bancomat ha attirato la criminalità»

Martedì 14 Marzo 2023 di Giuliano Pavan
Truffa dei bonus, la Guardia di Finanza: «Le vittime rischiano di avere guai con il fisco»

TREVISO - Venti indagati, 85 milioni di euro di sequestri, l’ombra della criminalità organizzata come regia della maxi truffa.

E il sospetto che nella rete sia finita una serie di professionisti su cui gli inquirenti stanno accendendo i riflettori. L’inchiesta sul Bonus facciate portata avanti dalla Guardia di Finanza di Treviso, come confermato dal comandante provinciale Francesco De Giacomo, non è per nulla agli sgoccioli. Anzi, l’analisi delle partite Iva aperte solo per accaparrarsi gli incentivi statali è solo all’inizio. E viaggia di pari passo con la ricerca dei capitali trasferiti all’estero. Una bolla milionaria che rischia di mettere in pericolo anche le vittime, per le quali l’Agenzia delle Entrate potrebbe far scattare atti di recupero.


Comandante De Giacomo, già da tempo avevate segnalato le falle nel sistema del Bonus facciate. Il fatto che la criminalità organizzata ne approfitti vi sorprende?
«Tutt’altro: non è nulla di nuovo e non riguarda solo il Bonus facciate ma, più in generale, gli incentivi introdotti dalla legislazione emergenziale per sostenere il settore dell’edilizia. Già un anno fa, il nostro Comandante Generale aveva sottolineato, davanti alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, la necessità di trovare un equilibrio tra l’esigenza di sostenere un settore trainante per l’economia e quella di evitare possibili strumentalizzazioni da parte della criminalità economica e organizzata. E lo stesso aveva fatto l’allora Procuratore Nazionale Antimafia, secondo cui lo scambio a ripetizione dei crediti poteva favorire il riciclaggio di capitali mafiosi. Per fortuna, i correttivi introdotti dal governo nel tempo hanno messo un freno agli abusi. In una prospettiva più generale, direi che la possibilità di usare le casse dello Stato come un bancomat è troppo allettante perché le organizzazioni criminali se la lascino sfuggire.


Gli indagati in questo filone d’indagine sono venti, è scorretto dire che potrebbe essere solo la punta dell’iceberg?
«Quanto emerso durante le indagini, ancora in corso, consente di affermare che il fenomeno non è circoscritto alle persone nei confronti delle quali abbiamo operato finora i sequestri, ma presenta dimensioni di più ampia portata. I provvedimenti eseguiti riguardano solo alcuni soggetti emersi nella prima fase dell’inchiesta; vi sono tuttavia altre posizioni, in fase di approfondimento, caratterizzate da profili analoghi di irregolarità».


Tra gli indagati c’è anche un ragioniere che ha effettuato le pratiche per conto di tante partite Iva aperte solo per incassare i bonus. Temete che ce ne possano essere molti altri coinvolti?
«Allo stato non escludiamo il coinvolgimento di altri professionisti. Sicuramente quanto acquisito nel corso delle perquisizioni consentirà di chiarire anche questo aspetto. Del resto, anche nelle indagini su frodi analoghe, un ruolo determinante è stato rivestito proprio da consulenti fiscali. Si tratta dei cosiddetti “facilitatori professionali”, cioè figure che intervengono nel compimento di reati così complessi da poter essere realizzati solo con l’ausilio di professionisti, capaci di guidare i criminali nella definizione delle condotte illecite. I professionisti che scelgono di mettere al servizio dei delinquenti il loro sapere non solo contravvengono ai loro doveri deontologici, ma violano anche la normativa antiriciclaggio, che pone precisi obblighi di identificazione e adeguata verifica della clientela, nonché di astensione dal compimento di operazioni sospette e obbligo di segnalazione all’Uif».


I meccanismi di controllo degli enti che acquistavano i crediti d’imposta in qualche caso hanno funzionato. Secondo lei perché in molti altri no? 
«La cessione dei crediti agli istituti bancari aveva come obiettivo quello di sostenere la ripresa. Dopo i primi casi di frode e i conseguenti provvedimenti di sequestro, gli operatori del settore finanziario hanno adottato maggiori cautele. Nella prima fase, in base alle nostre evidenze, non sono state effettuate approfondite verifiche. In quel particolare frangente, le banche e gli altri istituti si limitavano a riscontrare l’esistenza formale del credito, così come certificato dall’Agenzia delle Entrate, acquisendolo al proprio cassetto fiscale. Dai riscontri investigativi, solo in una minima percentuale di casi gli istituti si ponevano degli interrogativi, attivando le procedure del caso, quando si presentavano allo sportello giovani imprenditori con posizioni Iva aperte da pochissimo tempo e crediti da monetizzare per diversi milioni di euro».


Per ottenere i crediti fiscali sono stati utilizzati i nominativi di persone che erano all’oscuro di tutto, e che non hanno mai avviato un cantiere per la ristrutturazione di casa. Rischiano qualcosa?
«Molti dei soggetti che hanno negato di aver avuto rapporti con gli indagati hanno formalmente presentato denuncia. È possibile, tuttavia, che vi siano persone che non abbiano ancora consapevolezza di aver ceduto a terzi crediti fiscali. L’invito è quello di verificare, accedendo al proprio cassetto fiscale, la presenza di eventuali cessioni e di segnalare eventuali anomalie alla Guardia di Finanza e agli uffici dell’Agenzia delle Entrate. Chi ha maturato crediti fiscali, in assenza dei presupposti legali, potrebbe infatti essere destinatario di specifici atti di recupero».

Ultimo aggiornamento: 09:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci