«Cosa ho fatto», poi il delirio: perizia psichiatrica per Steve Quintino

Martedì 4 Ottobre 2022 di Maria Elena Pattaro
Steve Quintino, 19 anni dopo la tragica corsa

TREVISO - A tratti singhiozza come un bambino ripetendo «Cosa ho combinato, mi dispiace tanto». A tratti si fa serio, il volto disteso in una calma serafica: «Ho una missione: devo salvare il mondo. Sabato mattina volevo andare a bere il cappuccino e ho trovato l’arcangelo Gabriele. I vicini mi hanno avvisato che c’era qualcuno che voleva uccidermi». Gli occhi rimbalzano inquieti da una parte all’altra della sala colloqui: deve guardarsi le spalle perché «mi vogliono accoltellare, ci sono cacciatori pronti a spararmi». Ieri mattina Steve Quintino, 19 anni, l’autore dell’inferno scatenato sabato mattina in pedemontana ha incontrato il suo difensore, l’avvocata Paola Miotti. Un’ora di colloquio nel carcere di Santa Bona, tra barlumi di lucidità e momenti di delirio. Ha provato a ricostruire quello che è successo, ma la sua mente sembra popolata da chimere: discorsi religiosi, numerologia, complottismo, manie persecutorie si mescolano in una matassa difficile da districare. «È una persona indubbiamente malata, che non è pienamente in possesso delle sue facoltà - afferma il suo legale, che chiederà al più presto una perizia psichiatrica per il 19enne. L’ipotesi del legale è che Quintino sia affetto da una forma di schizofrenia con manie di persecuzione, ma sarà uno specialista a esaminare le sue condizioni di salute mentale. «Steve non è nemmeno consapevole di aver ucciso un uomo» aggiunge il legale. Nei pochi momenti di lucidità sembra prendere coscienza del proprio disagio. Sa di aver causato un putiferio: le tre auto rubate, gli incidenti. Chiede scusa, piange come un bambino e chiede di sua mamma. La vera tragedia, cioè l’uccisione di Mario Piva, il 67enne di Loria investito e ucciso a San Zenone sotto gli occhi della moglie, rimane in una zona d’ombra. Poi torna a farneticare, proprio come al momento dell’arresto, quando è stato braccato da due carabinieri eroi e sedato. Il ragazzo è piantonato in una cella della casa circondariale, vicino all’infermeria: una precauzione presa per scongiurare eventuali atti di autolesionismo. Le accuse sono pesantissime: omicidio stradale, duplice tentato omicidio per aver speronato la gazzella dei carabinieri e rapina continuata per le tre auto sottratte in successione alle rispettive proprietarie, a Vallà, Altivole e Oné di Fonte. Stamattina alle 10 comparirà di fronte al gip Piera De Stefani per la convalida dell’arresto e l’interrogatorio di garanzia in carcere: al giudice potrà raccontare la sua versione dei fatti. «Ma è chiaro che non è in condizioni di sostenere un interrogatorio» afferma Miotti.

IL DELIRIO

Di quella mattina di delirio Steve le ha raccontato che finito il turno in pastificio voleva andare a bere un cappuccino in un bar di Vallà, come faceva spesso. «Ho trovato l’arcangelo Gabriele». Difficile stabilire se sia una persona a cui lui, nella sua percezione distorta della realtà abbia affibbiato quel nome, oppure se si tratti di una delle visioni che popolano la sua mente. «I vicini mi hanno avvisato che c’era qualcuno che voleva uccidermi». Timori e deliri persecutori di cui gli amici si erano accorti da un po’: «Siamo diventati i suoi nemici. Ci accusava di volerlo avvelenare, ci bloccava sui social. Si guardava sempre intorno, convinto che tutti volessero fargli del male - raccontano Francesco e Claudia -. Era paranoico. Ormai avevamo paura di uscire con lui». I ragazzi avevano messo al corrente la famiglia di Steve, raccomandando che lo tenessero d’occhio. Anche fratelli, mamma e patrigno avevano notato che ultimamente Steve manifestava qualche disagio: «Ma abbiamo sottovalutato le avvisaglie. Mamma voleva mandarlo da uno psicologo, noi pensavamo che gli sarebbe passata» - dice il fratello Stefano, rammaricato. La famiglia vuole capire cosa ha fatto esplodere quella follia. Sono convinti che sia successo qualcosa nel frangente in cui è uscito di casa. Tra le 7 e le 8. Quando la mamma lo ha aggiunto a Vallà era fuori di sé. «Ci vediamo in paradiso» le ha detto prima di allontanarsi. Una frase in cui la famiglia ha letto un proposito suicida. Anche al pastificio Pasta Zara di Riese, dove il ragazzo lavorava da un paio di mesi come operaio i colleghi avevano notato atteggiamenti anomali.

Eppure nessuno, nella cerchia famigliare e sociale, era corso ai ripari: un disturbo, il suo, preso sottogamba. Così nella vita del 19enne la crepa ha continuato ad allargarsi fino a mandare tutto in frantumi.

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Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 17:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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