Imprenditore in cura: «Così ho fatto fallire la ditta di mio padre»

Venerdì 21 Giugno 2019
Imprenditore in cura: «Così ho fatto fallire la ditta di mio padre»
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TREVISO - Al primo incontro, mentre raccontava la sua vicenda, è scoppiato in lacrime: «Mi vergogno nei confronti di mia moglie e dei miei figli ha esclamato - ma soprattutto sento di aver tradito mio padre: mi ha consegnato un'azienda con quarant'anni di storia e io non sono riuscito a farla andare avanti». Trevigiano, cinquantenne, questo imprenditore del settore della metalmeccanica è uno dei tantissimi titolari di ditte circa centomila all'anno in Italia - costretti a portare i libri in Tribunale per il fallimento o la liquidazione della propria attività. E che, da quel momento, devono convivere con l'onta, sul piano personale e ancor più su quello sociale, di aver visto naufragare il proprio progetto professionale e di vita. Nel suo caso, fortunatamente, tuttavia, è anche uno  dei pochi (per ora) che stanno cercando di rialzarsi dalla caduta e ripartire grazie al supporto della onlus 100.000 Ripartenze. «Finalmente riesco a parlare della mia storia senza provare senso di colpa» ha ammesso, testimoniando come un primo, minimo risultato sia stato raggiunto. 

LA CONDANNA SOCIALE
«Questa affermazione, però, mostra cosa subiscono queste persone, perché in questa circostanza, di colpa davvero non ce n'era: si trattava di un'azienda sana, che è entrata in crisi finanziaria perché alcuni creditori non hanno più pagato. E questo signore e anche gli altri che seguiamo, avevano comunque fatto tutto il possibile per aiutare i dipendenti a trovare un'altra sistemazione», spiega Riccardo Miazzo, vicepresidente dell'organizzazione. In Italia, e nel Veneto in particolare, dove la tradizione imprenditoriale è largamente diffusa e radicata nella comunità, la chiusura forzosa della propria azienda è vissuta come un elemento di condanna sociale. A differenza di altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti, in cui è ritenuta un fatto normale nella carriera di un imprenditore, quasi una dimostrazione della capacità di mettersi in gioco e poi ricominciare. Proprio questo vorrebbe fare 100.000 Ripartenze: «Oggi un fallimento aziendale rappresenta ancora un tabù che porta all'isolamento sociale», ribadisce Fiorella Pallas, romana trasferita nella Marca, ex manager di un grande gruppo, che dopo essere a sua volta passata attraverso l'insuccesso di un suo progetto imprenditoriale, ha deciso di fondare, insieme a Gisella Geraci, questa associazione, ispirata all'omologa francese 60.000 Rebonds.

IL PERCORSO
«Non bisogna vergognarsi delle proprie cicatrici, sono il segno delle battaglie combattute» afferma (ecco perché, nel seminario di presentazione ieri in Camera di commercio, alcuni truccatori ne disegnavano di finte ai partecipanti). Ad oggi, sono tre gli imprenditori, trevigiani, del comparto meccanico e dei servizi, ad aver intrapreso il percorso (gratuito) di ripartenza: oltre a creare una nuova cultura sul tema, infatti la onlus vuole accompagnare chi ad essa si rivolge con un sostegno psicologico ed emotivo per superare lo stallo, ma anche con la consulenza di una squadra per elaborare un nuovo progetto di business. 
M. Z.
Ultimo aggiornamento: 11:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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