Non era figlio dell'ex bancario: «Non importa il Dna, ormai siamo indivisibili»

Lunedì 1 Luglio 2019 di Roberto Ortolan
Non era figlio dell'ex bancario: «Non importa il Dna, ormai siamo indivisibili»
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Ha vinto la battaglia, combattuta con alterne fortune per 7 anni, contro i mulini a vento. Ora c'è una sentenza che, partendo dalla verità scientifica stabilita dal Dna, riconosce che Luca, oggi 14enne, non è figlio di Paolo. «Ma io voglio bene a Luca come fosse figlio mio - dice Paolo (nome di fantasia come quello del figlio) - che continuerà a portare il mio cognome fino ai 18 anni quando potrà scegliere». È una storia a lieto fine. L'immediata conseguenza? Hanno pronunciato la sentenza di divorzio tra Paolo e la sua ex, azzerando quella pronunciata tempo fa e così liberandolo dal pagamento degli alimenti. «Una sentenza che mi ha restituito alla vita - confida l'uomo, 46 anni, ex bancario ed ex impiegato di Treviso, che da qualche mese è papà- Questa vicenda mi aveva fatto finire in un tunnel di disperazione e debiti, una montagna di debiti (che sta ancora pagando, avendo il quinto dello stipendio pignorato, ndr). Un calvario che mi stava portando all'autodistruzione. Adesso posso frequentare Luca. Io resterò sempre il suo papà, anche se non quello che lo ha generato, e un amico. Lo aiuterò. Ci vediamo spesso, come deciso dal giudice. Andiamo alle partite o facciamo altre cose. Proprio come un papà e un figlio». A salvare Paolo, finito in un vortice, l'aiuto di un terapeuta, gli studi (ha conseguito un master come counselor), la voglia di correre (ha disputato numerose maratone), ma soprattutto avvocati e giudici che hanno iniziato ad ascoltarlo. «A quel punto ho visto la luce -precisa Paolo- e ho ritrovato la fiducia. Ho conosciuto una donna, mi sono innamorato e sono riuscito a creare una famiglia e ad avere un figlio».
LA BATTAGLIA
«Devo dirti una cosa: non sono il tuo papà»: sei anni fa Paolo prese il coraggio a due mani e decise, sentito uno psicologo, di confidarsi con Luca. Parole strazianti che esprimevano il suo dramma interiore. In quei giorni si stava separando dalla compagna. Nel 2009 aveva scoperto che la moglie aveva un altro. Una storia che andava avanti da tempo. Da lì i dubbi. Dubbi che sono diventate certezze dopo due test del Dna (privati), eseguiti in laboratori di Roma e Londra: Luca non è suo figlio. Una verità che, però, non poteva essere riconosciuta. E che diventò un incubo. «Amo Luca -disse in una confessione a cuore aperto- ma proprio perché lo amo voglio che sappia la verità». Da allora, tra un incontro con uno psicologo e un altro, iniziò una battaglia per poter dire al bambino la verità. Una battaglia contro i mulini a vento. «Voglio il test del Dna», chiedeva Paolo. Contraria l'ex moglie per la quale quelle di Paolo erano solo fantasie, come il presunto tradimento. Il giudice diede torto a Paolo: Inammissibile il test del Dna. Allora Paolo decise di confidarsi con Luca. «È stata una catarsi -disse- Ho ritrovato l'equilibrio psicologico. Una liberazione. Luca? Ho avuto l'impressione che nel suo cuore sapesse già tutto». Intanto il giudice lo condannò a pagare gli alimenti. Paolo perse tutto. Sommerso dai debiti e dalle ipoteche. «E da quel muro che non mi permetteva di dimostrare la verità. Ho così deciso di non pagare più -aggiunge- tanto che sono finito indagato per aver fatto mancare i mezzi di sostentamento alla ex e a Luca. Il rapporto con lui? Il Dna diceva che non era mio figlio biologico. Ma io lo amavo e amo. Per lui ci sarò sempre». Ma a straziare l'anima di Paolo era quel segreto inconfessabile. I soldi? Per il bancario erano l'ultima delle preoccupazioni. «Sentivo che sarei impazzito se la verità non fosse venuta a galla. E così ho continuato a battermi per me e per Luca».
NUOVI LEGALI
Paolo è in ginocchio. Trova un nuovo lavoro, nuovi avvocati e inizia a correre: ogni giorno e poi le maratone. Gli avvocati Adolfo Chiaventone e Federica Pastro battono una nuova strada. È quella giusta. È la Procura a effettuare il test del Dna. E la verità di Paolo diventa quella ufficiale. «Divento un padre putativo e non me ne vergogno. Sono però riuscito ad abbattere il muro alzato dalla mia ex moglie. Che per difendere non so bene cosa, nel 2015, mi ha anche fatto condannare penalmente. Ma oggi tutto è chiarito e tutto quasi dimenticato. Una nuova esistenza per me e anche per Luca». Poi Paolo si toglie qualche sassolino dalle scarpe: «Ancora oggi non capisco come la prima sentenza abbia negato il test del Dna. Ma so di aver trasformato la mia frustrazione in voglia di riscatto. L'esperienza mi ha insegnato che non sono solo gli uomini ad essere violenti. Lo possono essere anche le donne, gli atti processuali e i pregiudizi. Leggendo oggi a mente fredda i documenti della prima sentenza (causa che ha perso, ndr) noto che le argomentazioni di controparte e del curatore speciale si sovrappongono, quasi un copia e incolla. Ma io, a causa di quella sentenza, sono pignorato e sto pagando 30mila euro. Dopo l'ok della Procura, il secondo curatore chiede e il giudice dispone subito il test di paternità (eseguito gratis). Mi chiedo perché devo pagare quei 30mila euro se poi ho dimostrato che avevo ragione e quella sentenza era sbagliata? Ora -conclude Paolo- vorrei aiutare chi sta vivendo quello che ho attraversato io. Vorrei ottenere la laurea in psicologia e scrivere un libro sulla mia vicenda processuale (perché ogni storia non raccontata è una storia persa). Un libro da dedicare alla mia nuova compagna che mi ha sopportato e supportato, regalandomi una seconda possibilità di vita».
 
Ultimo aggiornamento: 2 Luglio, 15:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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