TORINO - Una svastica tracciata con la vernice nera nel tentativo di nascondere, oltre al nome, le parole «Prima donna ministra - Partigiana». È stata imbrattata così, a Torino, la lapide che ricorda Tina Anselmi in un giardino che le è stato intitolato nel quartiere Mirafiori. Un gesto che, in campagna elettorale, ha generato commenti carichi di indignazione da parte di tutte le forze politiche, a sinistra come a destra. Tina Anselmi, morta nel 2016 a 89 anni, originaria di Castelfranco Veneto, prese parte alla Resistenza; poi, dopo la laurea in lettere all'Università cattolica del Sacro cuore di Milano, si impegnò nel sindacato e nell'attività politica con la Democrazia cristiana.
Alle parole di condanna si uniscono quelle di chi ne onora la figura ricordando che firmò una legge sulle pari opportunità (1977). Una «madre della Repubblica», per la ministra Elena Bonetti, «la cui memoria è nell'impegno, oggi, ad aprire strade nuove per l'Italia e per tutte le donne». Il leader del Pd, Gianni Letta, parla di atto «inqualificabile», e Giorgia Meloni di «gesto infame e vigliacco che non può scalfire il ricordo di una donna coraggiosa da noi omaggiata di recente anche all'interno di una mostra dedicata alle patriote d'Italia». Per Antonio Tajani, di Forza Italia, tracciare la svastica è stato «ignobile», per Matteo Richetti (Azione) «miserabile», per Chiara Appendino (M5s) «disgustoso»; il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, afferma che «nessun atto vandalico può cancellare l'eredità di chi ha contribuito a scrivere la storia libera del nostro Paese», il governatore della Liguria, Giovanni Toti, si augura che «i responsabili vengano identificati e puniti in fretta», e il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, dichiara che «se gli autori dello sfregio avessero un minimo di consapevolezza capirebbero che una persona come Anselmi dovrebbero ringraziarla e non offenderla». A Torino il sindaco Stefano Lo Russo dice che «bisogna tenere viva la memoria anche per evitare gesti come questo», e Piero Fassino (Pd) esorta a «respingere il clima di odio e rancore». Per lo storico Angelo D'Orsi, candidato per Unione Popolare, «il fascismo non è mai morto in questo Paese».