Telebit, l'azienda fondata nel garage da tre amici: ora ha 20 sedi, ​600 dipendenti e il fatturato supera i 150 milioni di euro

Lunedì 21 Marzo 2022 di Edoardo Pittalis
Telebit, l'azienda fondata nel garage da tre amici
3

Sembra una storia americana, di quelle che nascevano in un garage della California e portavano alla Silicon Valley. Gli americani sono bravi a costruire il mito e quasi sempre a trasformarlo in dollari. Questa è una storia più piccola, nata ugualmente in un garage, a Bannia pianura friulana verso il Tagliamento.

Anche da noi fioriscono i miti, in lire perché non era ancora il tempo dell'euro. Proprio il 21 marzo di trentatré anni fa tre giovani con una valigia piena di cacciaviti e pinze occuparono il garage di una zia e incominciarono la loro avventura.


Un trevigiano, un pordenonese e un polesano di Lendinara lasciarono il vecchio lavoro, investirono le liquidazioni e fondarono la società Telebit che non ha mai cambiato nome. Un elettricista, un tecnico delle telecomunicazioni e un venditore di materiale elettrico con una specializzazione tutta da scoprire, ma con un punto di partenza: garantire i collegamenti telefonici della Sip. Allora c'era solo quella. Poi è sopraggiunta l'epoca del cellulare a spalancare frontiere e mercati impensabili e Giovanni Quarta, Marcello Raimondi e Gino Corda si sono tuffati nel nuovo mare della telefonia. Sono passati dal cavo di rame alla fibra ottica, alla trasmissione alla velocità della luce. Vent'anni dopo era un'azienda con 100 dipendenti, cinque sedi in Italia e un giro d'affari di 10 milioni di euro. Oggi, dopo il passaggio generazionale, le sedi sono diventate 20, quattro anche in Brasile. I dipendenti sono 600 e il fatturato supera i 150 milioni di euro. La sede principale è a Casier, vicino a Treviso; le altre sedi storiche sono a Pordenone e a Rovigo, per rispettare la geografia dei fondatori. I clienti sono Vodafone, Tim, Iliad, Wind, Ericson, la pubblica amministrazione, l'Enel, le autostrade, gli aeroporti. Senza di loro a Nordest non si riuscirebbe a telefonare, sviluppano e mantengono la rete di antenne e di cavi in fibra ottica che accolgono e smistano il traffico. «Parliamo di cellulari, sviluppiamo e manteniamo la rete e le centrali di intercomunicazione. I data center sono dei grandi computer che collegano e accolgono e smistano il traffico, fanno fluire le informazioni all'interno del sistema. Il bit è molto più simile all'acqua, è come se creassimo l'acquedotto e il modo di portare acqua in tutte le case», spiega Giacomo Quarta, trevigiano, 40 anni, ingegnere delle telecomunicazioni. Guida l'azienda nella quale lavorano il fratello Germano e Silvio e Alberto Raimondi. La seconda generazione è al comando.


Come è stato entrare in azienda?
«È stata una successione naturale per tutti noi figli. Mi è sempre piaciuta molto la parte gestionale, al liceo ero rappresentante di istituto e mi piaceva organizzare eventi. Poi ho fatto esperienze di consulenza già negli anni dell'università a Udine. Sono stato un anno negli Usa a San Diego, anche nella Silicon Valley e mi sono reso conto che tra noi e loro non c'è un metodo giusto o uno sbagliato, ma bisogna capire quale metodo serve e quando applicarlo».


Il Covid col telelavoro ha cambiato le cose?
«Col Covid, a parte la drammaticità della situazione, si è verificata l'opportunità di un'esperienza molto interessante. Al di là dei ricavi aumentati, sono stati accelerati progetti e la digitalizzazione di tutti i processi. Quando si è incominciato a parlare di pandemia, abbiamo creato un team per l'emergenza e preso in considerazione anche l'ipotesi della chiusura totale dell'azienda. Abbiamo fatto una simulazione del lavoro da casa senza fermare la produzione. Poi si è capito che come attività indispensabili non potevamo chiudere. Lo scorso anno abbiamo assunto 154 persone, ma oggi la difficoltà più grossa è trovare persone che abbiano competenza tecnologica».


È così difficile trovare personale da assumere?
«Abbiamo creato collegamenti con la scuola e con le associazioni che formano i giovani, legami con gli Itis e con le università da Bologna a Padova e Trieste. Si è formato il collegamento tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro che è il tassello che manca. Il concetto scuola-lavoro è fondamentale, tra la formazione e l'entrata in azienda passano molti anni: l'impresa deve comunicare in anticipo alla scuola quelle che sono le esigenze future; la scuola deve creare le professionalità richieste. Il percorso di formazione di questi ragazzi che diventano adulti non finisce mai, deve essere una formazione continua anche durante la vita lavorativa. Sbagliato criminalizzare gli stage, anche se quello che è successo di recente è terribile. Bisogna capire come vengono fatti questi stage e come vengono utilizzati, non bloccarli. Uno stage deve essere un accompagnamento, deve esserci un tutor, non si può incaricare qualcuno di svolgere un'attività per la quale non può avere competenze».


Come è la situazione del settore in Italia?
«In fermento, ci sono cambiamenti significativi, c'è molto più lavoro rispetto alla manodopera. Però occorrono competenze diverse perché la tecnologia sta cambiando. Per i prossimi anni abbiamo stanziato tre milioni per la formazione, non si possono affrontare le sfide senza la preparazione adeguata. L'Italia sta recuperando velocemente il divario digitale e gli investimenti messi in campo, anche con aiuto del Pnrr, sono ingenti per portare le connessioni veloci in tutte le case».


Quante antenne per la telefonia ci sono in Italia?
«Attualmente ce ne sono 40 mila. In Italia abbiamo i parametri più conservativi e tutelanti del resto d'Europa, nel campo elettromagnetico abbiamo sei volte i limiti del Nord Europa. Questo porta a un numero maggiore di antenne, sia pure con impatto minore. Adesso siamo davanti alla rete 5G, che è un abilitatore per servizi fino a ieri impensabili e oggi diventati vitali per la comunità: garantiscono un'operazione chirurgica a migliaia di chilometri di distanza, la telemedicina, l'auto a guida autonoma, l'agricoltura intelligente 5G è un'evoluzione tecnologica che permette di ridurre il tempo tra l'invio del segnale alla ricezione: come se fosse un piccione viaggiatore che viaggia alla velocità della luce. Perché tanta resistenza davanti a questa novità? Forse perché non si informa abbastanza sui pro e contro della tecnologia. Molti slogan, molta emotività, ma non analisi e una valutazione complessiva. Abbiamo lavorato a lungo sotto il controllo della Digos per le minacce ricevute».


Come controbattere gli hacker?
«La cybersecurity è fondamentale. Le guerre non saranno più solo con bombe e missili, come purtroppo stiamo vedendo in questi giorni drammatici, ma anche con attacchi hacker e speriamo non con virus. Un attacco hacker può causare danni ingenti a una nazione e l'attenzione in termine di protezione deve essere massima. Stiamo collaborando a un progetto dell'università di Padova su un sistema di cooptazione dei dati, del segnale, per evitare che ci siano interferenze di questo genere. Si è in grado di prevedere con gli strumenti a disposizione e questo ci consentirà di evitare errori. Pensiamo alla vita quotidiana: prendiamo la manutenzione degli impianti, se si rompe la caldaia uno chiama l'idraulico. Con la tecnologia si può fare manutenzione preventiva, si può prevedere con i sensori quando la caldaia si potrà rompere. Pensate tragicamente al Ponte Morandi: si poteva con la digitalizzazione prevedere il crollo del ponte».


E i fondatori? Giovanni Quarta si è trasferito a Pantelleria dove coltiva olivi e viti e alleva le api. Marcello Raimondi, appassionato di pesca e di tennis si dedica alle sue passioni. Gino Corda, il più giovane dei tre, segue la filiale di Bolzano. Nessuno di loro è andato in Brasile dove è stata aperta Telebit Brasil.

Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 13:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci