Spese raddoppiate: «Stalla chiusa entro fine anno se continua così»

Domenica 24 Aprile 2022 di Mauro Favaro
L'allevatore Fabio Dalla Torre
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SILEA - «Se le cose non cambieranno, tra pochi mesi sarò costretto a chiudere definitivamente, mettendo fine a una storia che va avanti da quasi un secolo. Siamo più o meno tutti nella stessa situazione. Prima eravamo vicini al baratro. Adesso ci siamo dentro». Fabio Dalla Torre, allevatore di 39 anni, titolare dell’azienda agricola Leonardi, scandisce le parole arrotolando le ultime bollette all’interno della sua stalla di Sant’Elena di Silea, che ospita 40 vacche da latte. La crisi del settore sta stritolando in particolare gli allevamenti medi e piccoli. Le spese per il gasolio agricolo, la farina e l’energia elettrica sono raddoppiate.

Il risultato è che oggi produrre un lito di latte costa di più di quanto non si guadagni dalla sua vendita. Un cortocircuito drammatico. «Stiamo lavorando in perdita – allarga le braccia Fabio – siamo già rimasti in pochi allevatori. Questo rischia di essere il colpo di grazia». A muoverlo è una passione sconfinata per il lavoro, che affonda le radici nella storia della sua famiglia, già da quando il nonno aprì la stalla di via Pozzetto quasi cent’anni fa. Sua moglie fa un altro lavoro. «E questa è una fortuna, altrimenti avrei già chiuso», confessa. Ma Fabio pensa anche alla sua bambina di 6 anni. «Ha senso continuare così? – si chiede – tutti parlano dell’importanza delle aziende agricole locali, del made in Italy e dei prodotti a chilometro zero. Ma poi nessuno fa nulla per cambiare le cose». I numeri immortalano una situazione che sembra senza via d’uscita.


I NUMERI
«Oggi un litro di latte ci viene pagato 41 centesimi. A maggio saliremo a 46 – spiega il 39enne – ma per far fronte agli ultimi rincari dovremmo poter vendere il latte almeno tra i 55 e i 60 centesimi al litro». Uno sciopero sembra impensabile. E’ difficile mettere tutti d’accordo. E quando i tutti sono già pochi, la strada diventa sostanzialmente impraticabile. «E’ il sistema che è sbagliato: sono altri a farci il prezzo per le materie prime che ci servono e sono sempre altri a decidere il prezzo della materia prima che produciamo noi, cioè il latte, un bene primario – è il punto fatto dall’allevatore – dovrebbe essere fissato un prezzo minimo per il latte, magari con contributi specifici, sotto al quale non si può andare. Così rischiano di sparire tutti gli allevamenti. Ci ritroveremmo senza più latte locale, che oggi viene prodotto puntando sulla qualità. Il latte arriverebbe dall’estero? A che prezzo? Quel che è certo è che non ci sarebbero più i prodotti tipici locali». 


I CONTI
A partire dai formaggi, ma non solo. I conti sono presto fatti. A causa dell’aumento dei costi, dar da mangiare a una vacca oggi costa qualcosa come 11 euro al giorno. Una di quelle presenti nell’azienda agricola Leonardi garantisce quotidianamente, in media, tra i 28 e i 30 litri di latte. Già così si è in pari. La somma di tutte le altre spese rappresenta le perdite. Qualche esempio? A novembre si pagava il gasolio agricolo 79 centesimi al litro. E qualche mese prima era anche a 65. Ora per comperarlo bisogna sborsare 1,45 euro al litro. Più del doppio. Un’enormità per un’azienda come quella di Sant’Elena che ha un fabbisogno di 9mila litri all’anno. Discorso simile per la farina di mais. Lo scorso agosto si pagava 30 euro a quintale. Oggi 42 euro. «La guerra in Ucraina non c’entra – scuote la testa Fabio – gli aumenti erano iniziati già da prima». E pensare che lavorando i campi, una trentina di ettari in tutto, il 39enne riesce ad auto-produrre buona parte delle cose che gli servono. Ma deve comunque comperare una ventina di quintali di farina al mese. Poi è arrivata pure la bolletta della luce. «Ho consumato di meno rispetto a prima – sottolinea – nonostante questo, però, l’importo è salito da 328 a 585 euro». Con queste cifre l’idea di chiudere tutto non è solo uno spauracchio. Fabio c’ha già pensato. «Potrebbe essere in estate, una volta finite le scorte di insilato – rivela – ma la stalla c’è da 90 anni. Io sono cresciuto qui. Dire basta non è semplice». Altri suoi colleghi hanno deciso di gettare la spugna quando si sono trovati davanti alla necessità di fare manutenzioni. Non conveniva. La speranza, però, è che possa arrivare una nuova boccata di ossigeno per continuare ad andare avanti, pur trae difficoltà e sacrifici. «Il primo passo è stato quello di lasciare a casa un dipendente. Di seguito si potrebbe pensare a ridurre le vacche, togliendo quelle che non producono al meglio. Quando si arriva a questo, però, si è nell’anticamera della chiusura – tira le fila il 39enne – non bisogna poi dimenticare che se si chiude saltano tutti gli investimenti, a partire da quelli sulle strutture, che hanno consentito lo sviluppo di un indotto economico locale». E con loro salterebbe la grande storia dei piccoli allevamenti che hanno contribuito alla crescita della Marca.

Ultimo aggiornamento: 25 Aprile, 10:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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