Carenza di medici e lunghe liste d'attesa, parla Benazzi: «Mi scuso ma questa sanità è il top»

Mercoledì 28 Dicembre 2022 di Mauro Favaro
L'area del nuovo ospedale trevigiano, su liste d'attesa e carenza di medici parla il dg Benazzi
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TREVISO - «Mi scuso per le liste d'attesa. Le difficoltà riguardano soprattutto le visite di controllo. Il problema è legato alla carenza di medici, che non è dovuta all'Usl o alla Regione ma che è frutto di un'errata programmazione nazionale. Stiamo comunque mettendo in campo tutto il possibile per dare risposte, dai medici aggiuntivi ai nuovi progetti di telemedicina». Francesco Benazzi, direttore generale dell'Usl della Marca, fa il quadro a ormai 3 anni dall'esplosione dell'emergenza Covid. Ci sono quasi 21mila visite da recuperare.

I ritardi nei controlli si contano nell'ordine dei mesi. Nel 2023 si resterà ancora in trincea. La Regione ha già autorizzato l'assunzione di 150 specialisti. Ma non si trovano. Nel 2024, però, le cose inizieranno a cambiare. «I nostri collaboratori stanno lavorando al massimo. Ma il periodo di transizione purtroppo riguarderà anche il 2023 - specifica il direttore -. Posso però già garantire che nel 2024 arriveranno nuovi medici e non ci saranno più gli attuali problemi con le liste d'attesa».

Direttore Benazzi, la carenza di personale è una croce sempre più pesante, tra l'altro sottolineata più volte dai sindacati.
«Nessuno viene dalla luna. Nemmeno i sindacati. Dobbiamo rimboccarci le maniche, come stiamo facendo. Di certo non si possono cercare colpe tra l'Usl e la Regione. Se i sindacati hanno qualcuno da portarci, siamo pronti ad assumerlo già domani mattina».

Quali sono le caselle che restano vuote?
«Stiamo assumendo il più possibile. Nonostante questo ci mancano 19 ortopedici, 14 anestesisti, 13 radiologi, 6 oculisti, 5 cardiologi, 4 neurologi, 3 dermatologi, 3 gastroenterologi, 2 otorinolaringoiatri e così via. Specialità dove appunto prendono forma le liste d'attesa».

Si cerca di tappare i buchi con i medici a gettone delle cooperative private, anche pagando quasi 1.900 euro lordi per un turno di 12 ore.
«Oggi servono. Tamponano dei turni per non gravare ulteriormente sui nostri collaboratori. È indispensabile garantire i livelli essenziali di assistenza. Non si può pensare di chiudere reparti. Facciamo quadrare il bilancio garantendo i servizi».

Pesano anche le scelte dei camici bianchi che lasciano il pubblico per andare nel privato?
«Chi resta nel pubblico oggi è un eroe, tra turni, guardie, notti e urgenze. C'è stata una fuga in particolare in ambito ortopedico e ginecologico. Ma ora si è fermata. Chi è rimasto continua coraggiosamente a lavorare nel pubblico perché crede sia importante garantire i servizi a tutti. Non smetterò mai di ringraziarli».

È anche una questione di stipendi?
«Innanzitutto servono più medici. Dopodiché gli stipendi andrebbero almeno uniformati alla media europea. Adesso siamo tra le ultime posizioni».

Nonostante le difficoltà, la Marca è al quarto posto nazionale per aspettativa di vita.
«Non è un caso. Significa che il nostro sistema consente di curare bene le persone».

Come vede l'aumento dell'offerta di sanità privata?
«Siamo tra le Usl con la quota di pubblico più elevata. A livello di specialistica ambulatoriale, l'83% delle risposte arriva dal pubblico. Il 6% dall'Oras di Motta di Livenza. Il privato accreditato viaggia tra il 7 e l'8%. Ma questi centri lavorano per noi da oltre 15 anni, non sono aumentati».

Si vedono sempre più anche centri privati puri.
«La nostra è una provincia ricca. Chi ha le assicurazioni, ad esempio, va nel privato senza aspettare perché è coperto. Noi garantiamo un servizio universalistico, per tutti».

Come procede il recupero delle visite non urgenti rinviate nell'emergenza Covid?
«Sono 20.907 quelle in galleggiamento (in attesa di appuntamento, ndr). Ne mancano solo 156 relative all'anno scorso. Ora ci concentriamo sul 2022. Il punto è che le richieste sono aumentate fino a quasi il 40% rispetto al pre-Covid. Le risonanze magnetiche, ad esempio, del 39%. Gastroenterologia del 22%. Ginecologia del 18%, come la diagnostica ecografica capo-collo e l'oculistica. Abbiamo più richieste e meno medici rispetto al 2019».

Dove sono i ritardi maggiori?
«Siamo in sofferenza in specialità come dermatologia, oculistica e l'ortopedia di Montebelluna. Così come la cardiologia, anche se in un paio di mesi dovremmo rientrare grazie all'arrivo di 6 cardiologi a Montebelluna. Stesso discorso per otorinolaringoiatria, che a gennaio vedrà l'arrivo di due specialisti. E stiamo aspettando che arrivi qualcuno per le visite allergologiche».

Cosa prevede il nuovo piano di recupero?
«Diverse azioni. Ci saranno incontri tra i direttori di distretto, le cure primarie e i medici di famiglia per l'appropriatezza prescrittiva. Un esempio? Non ha senso richiedere risonanze per sciatalgie. Abbiamo avviato un procedimento per acquisire prestazioni di dermatologia dall'Usl 1 (Belluno, ndr). E da gennaio apriremo 3 ambulatori di endoscopia digestiva tra Oderzo, Montebelluna e Conegliano-Vittorio Veneto con il coinvolgimento dei chirurghi generali».

La nuova frontiera sarà la telemedicina?
«Soprattutto per le visite di controllo. Stiamo già facendo la tele-riabilitazione. Parallelamente decollerà il progetto dell'oncologia territoriale, per seguire i pazienti a domicilio. Aumenteremo la telemedicina per la dermatologia a Conegliano. La tele-cardiologia permetterà di monitorare i pazienti con pacemaker e la tele-neurologia di seguire a domicilio anche le persone con esiti post Ictus».

E nelle case di riposo?
«Verranno allestiti dei laboratori per fare esami a distanza, valutati da un geriatra, senza bisogno di andare al pronto soccorso. È in corso una sperimentazione al Menegazzi di Treviso. Il laboratorio vale 25mila euro. Dopo la sperimentazione potrebbe essere inserito in tutte le rsa con più di 90 ospiti».

Come rispondere invece alla carenza di medici di famiglia?
«Abbiamo proposto di aumentare il compenso per chi arriva a 1.800 pazienti. E ci pare di aver trovato la disponibilità dei sindaci nell'offrire spazi per gli ambulatori ad affitto calmierato. Con l'orizzonte di aprire 17 nuove Case della comunità entro il 2026».

In tutto ciò, lei come si sente a fare spesso da parafulmine?
«Sono della vecchia guardia: considero il mio mestiere una missione. Credo fortemente nella sanità pubblica. È un vanto per l'Italia. E il Veneto, grazie al presidente Luca Zaia, è costantemente in cima alle classifiche. Questo spinge a continuare a mantenere questi livelli. L'orgoglio di far parte della sanità veneta dà la carica».

Anche quando finisce nel mirino dei no vax? Ha visto le ultime scritte sui muri dello stadio di Monigo?
«Oggi l'importante è che si vaccinino gli anziani e le persone fragili. Vale per il Covid ma anche per l'influenza. Siamo arrivati qui grazie alle vaccinazioni precedenti, che hanno salvato vite umane. Le battaglie no vax sono barricadere, senza senso. Nessuno punta la pistola per fare il vaccino. Bisogna passare al non ti curar di lor. Una volta ho denunciato le cartoline che mi arrivano con scritto "Morirai". Adesso dobbiamo finirla di dare importanza a questa gente».

Il 29 dicembre verrà inaugurato il monoblocco della nuova cittadella sanitaria del Ca' Foncello.
«Cerchiamo di dare il massimo per i cittadini. Senza fermarci. Proseguiremo con la costruzione del campus universitario all'ex Vetrelco: contiamo di posare la prima pietra nei primi mesi del 2023 e di finirlo in due anni».

Sono invece periodiche le voci su una possibile chiusura dell'ospedale di Castelfranco. Così come sulla definitiva chiusura del punto nascite di Vittorio Veneto.
«Le schede prevedono le attuali unità operative a Castelfranco. Non vedo i rischi. C'è un'integrazione con lo Iov che si rafforzerà sempre di più. Mentre l'ospedale di Vittorio Veneto oggi resta un riferimento per il Covid. In ogni caso, non siamo noi a decidere sulle chiusure dei punti nascita. Vedremo cosa deciderà il ministero. Intanto continuiamo a lavorare per erogare tutte le prestazioni».

Ultimo aggiornamento: 13:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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