La beffa dei ristori, il presidente dell'Ascom: "Perdo il 29,8%, non avrò un euro"

Mercoledì 24 Marzo 2021 di Claudia Borsoi
Michele Paludetti, il presidente dell'Ascom di Vittorio Veneto e titolare di un negozio di calzature
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Beffa ristori per molti commercianti. Non arrivando a una perdita superiore o pari almeno a un 30% calcolata tra il giro d’affari del 2019 e quello del 2020, anno segnato dalla pandemia, non potranno accedere ai ristori varati pochi giorni fa dal governo Draghi. «Ho perso il 29,87% rispetto allo scorso anno, dunque non avrò diritto a niente» denuncia Michele Paludetti, presidente di Ascom Vittorio Veneto e commerciante nel settore calzaturiero. E come lui ce ne sono tanti altri. «Se uno ha perso il 31% ha diritto ai ristori. Io, che per uno 0,13% non arrivo al 30% invece no. È folle che non si sia pensato di attuare degli scaglioni per le richieste di ristoro» afferma Paludetti, che dà voce a chi, come lui, vivrà questa ennesima vicenda kafkiana: da una parte lo Stato, che si dice pronto a tendere la mano alle attività economiche danneggiata dalla pandemia, e dall’altra le norme, che invece dettano precisi paletti e stabiliscono che chi ha patito un danno superiore al 30% sia meritevole di un aiuto, e chi invece abbia avuto perdite inferiori non lo debba essere. 
I CALCOLI
Varati i nuovi aiuti dal governo Draghi, in molti, calcolatrice alla mano, si sono messi a fare i conti per capire se quella piccola goccia, in un mare di disagi, sarebbe arrivata o meno. «Io temo – mette le mani avanti il presidente dei commercianti di Vittorio Veneto – che come me ci siano tanti altri negozianti che abbiano avuto perdite, fatto il raffronto tra il giro d’affari del 2019 e quello dello scorso anno, tra il 25% e il 30% e che dunque, come me, rimarranno senza ristori». A bocca asciutta, dunque, per uno scarto decimale. Una somma che, certo, non avrebbe fatto la differenza, ma che avrebbe aiutato chi deve fare i conti con spese fisse come affitto e utenze che ogni mese vengono recapitate anche se il negozio è chiuso o lavora a regime ridotto. 
LO SFOGO
«Che sia un grande o un piccolo negozio ad avere perso un 10% o un 30%, per tutti è comunque una perdita – evidenzia Paludetti -. Sarebbe stato logico prevedere degli scaglioni: in base alle perdite documentate ci sarebbe dovuto essere il ristoro. E invece chi è sotto il 30% non prenderà nulla, nemmeno un euro». L’ira si fa ancora più forte tra chi è titolare di un’attività che, con la “zona rossa”, è costretta a rimanere chiusa. E Paludetti, che vende scarpe e borse, è uno di questi. «Il 90% delle categorie merceologiche sono aperte con la “zona rossa”, mentre un 10%, in particolare gioiellerie, negozi di scarpe e di abbigliamento, viene reputato portatore di epidemia e per questo deve rimanere chiuso. E questo indispone ancora di più: è una vergogna» incalza il presidente di Ascom Vittorio Veneto. L’ennesima disparità di trattamento mal digerita, quella goccia d’acqua che fa traboccare il bicchiere, un bicchiere che da mesi viene visto mezzo vuoto e non mezzo pieno. 
LA DISCRIMINAZIONE
«Non credo che i due clienti che entrano nel mio negozio di scarpe siano differenti dai due che entrano in una ferramenta o nel negozio di fiori – sottolinea -.

E lo dico senza essere contro a chi ora, in “zona rossa”, è aperto. Però per me o tutti aperti o tutti chiusi. Sembra che ci siano dei settori, come quello moda, che siano reputati portatori di epidemia». E proprio il settore moda è quello che più sta pagando: dei 13 mesi di pandemia, quattro li ha trascorsi con i negozi chiusi. «Questo – evidenzia Paludetti – è il quarto mese di chiusura, è una cosa innaturale. E ciò mentre noi continuiamo ad investire, a fare acquisti per il prossimo inverno. Che succederà a ottobre? Ci faranno richiudere perché non saranno stati in grado di vaccinare buona parte della popolazione? Si chiedono se abbiamo dipendenti? A me verrebbe da mollare tutto». 

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