«Perderai la gamba, serve una protesi»: lui corre la maratona di New York

Martedì 12 Novembre 2019 di Marco Gasparin
Raimondo Amadio dopo aver compiuto l'impresa
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VILLORBA - «Dopo l’incidente i medici mi avevano detto che avrei dovuto operarmi per farmi mettere una protesi alla gamba e che mi sarei dovuto scordare gli allenamenti in palestra e la corsa. Ma io sapevo che c’era un’altra strada». Raimondo Amadio, presidente della scuderia Villorba Corse, racconta il suo percorso oggi, dopo un’impresa eccezionale: ha corso, e completato in 5 ore e 43 minuti, la maratona di New York. Una cosa che sembrava impensabile dopo l’incidente avuto nel marzo 2018, in cui ha riportato la frattura della testa del femore. «Una frattura bruttissima - ricorda - Tanto che il medico, che poi abbiamo ribattezzato “dottor Protesi”, non mi aveva praticamente dato speranze di recupero. Ma c’era una persona che la pensava diversamente». 
LA PERSONA DEL DESTINO
Questa persona, a cui Amadio si è affidato, è Paolo Calandra, personal trainer noto nel mondo sportivo trevigiano. «Mi seguiva già da due anni quando ho avuto l’incidente -ricorda Amadio- Quando sono tornato da lui la prima cosa che mi ha detto è stata “metti via quelle stampelle e iniziamo a lavorare: ci pensiamo insieme”.  Sono stati mesi molto duri, ma quando sono tornato dal “dottor Protesi” per un controllo era stupefatto. “Ma come hai fatto, dove sei stato”. Non riusciva a crederci. E così addio protesi». Sull’onda dell’entusiasmo un po’ per scommessa è nata l’idea di un’impresa. «Volevo fare qualcosa di importante, di simbolico. Erano i primi mesi di quest’anno e con la scuderia stavo preparando la 24 ore di Le Mans. Mi sono detto: endurance per endurance, facciamo la maratona di New York». Sembra una battuta, ma Calandra l’ha presa sul serio: «Mi ha preparato un programma su misura giornaliero e abbiamo cominciato a lavorare: piscina, palestra e da metà giugno la strada. A quel punto mi sentivo fisicamente allenato, ma non per fare chilometri di corsa. Però un po’ alla volta sono arrivato a 15, a 20, 26, fino a un massimo di 30 chilometri».
LA PROFEZIA DEL VECCHIETTO
Amadio ha corso sempre, a parte dieci giorni di pausa ad agosto. «Paolo mi teneva costantemente controllato: “Hai fatto 15 km? Bene, domani 18”, mi diceva. La sfida nella sfida è che prima non avevo mai fatto nessuna corsa, perché non mi piace correre: né mezze maratone, né “passeggiate dei puffi”. Zero. All’oscuro di quello che ci aspettava siamo andati da 0 a 100, puntando subito al top. È stato interessante trovare la motivazione per fare una cosa che non ti piace». Forse c’è stato anche il gusto di dare una lezione ai “gufi”: «In questi ultimi mesi tutti quelli con cui parlavo della maratona mi dicevano: “È impossibile. Vedrai che scoppi. Ti devi fermare”. Tutti erano negativi. Tutti a parte Paolo e un vecchietto che ho incrociato al Parco San Giuliano una mattina mentre correvo, alle 5.30; dopo tre ore l’ho trovato di nuovo. Mi ha chiesto se mi allenavo per Venezia, gli ho detto New York. “L’ho fatta tre volte” mi fa. Quando gli ho confidato che non ero sicuro di finirla mi ha detto “Non ti preoccupare, quando sei a New york vedrai che arrivi”. È proprio vero: tantissimi parlano senza sapere di cosa stanno parlando». 
IL FISICO E LA MENTE
Poi c’è stato il volo per New York e infine il giorno della corsa: «La mattina della gara è caotica: ti svegli prestissimo, dovresti mangiare ma non hai fame, poi c’è la componente emozionale. Ma quando parti i primi 10 km non li senti neanche. Poi hanno cominciato ad arrivarmi sul cellulare i messaggi di Calandra, che mi teneva monitorato dall’Italia e mi dava consigli quasi miglio per miglio. La gestione è tutto. Anche la forza di volontà conta molto: ho avuto un paio di momenti di crisi dopo i 27 km, in cui mi dicevo “e adesso?” Ma bisogna vedere il contesto: sei tra due muri di gente che per 42 chilometri ti incita. Ti aiuta tanto. Quando corri la maratona e la finisci ti rendi conto che è un evento meraviglioso». E così Mister Le Mans ha conquistato New York: «Direi che ci vuole il 60% di fisico e il 40% di mente, strategia compresa. È tutta questione di gestione e da questo punto di vista Le Mans e New York sono molto simili, a livello di strategia. L’endurance è così: devi arrivare alla fine per vincere la tua “partita”, perché anche se tu fai le prime 18 ore di gara sempre primo e poi non arrivi, non serve a niente: meglio arrivare quarto, però arrivare».
Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 09:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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