TREVISO - «La più bella da ritrarre? Marilyn. Perfetta ogni volta. Ma gli occhi delle italiane (Cardinale, Lollo e Loren) non si dimenticano». Sarà l'effetto ottico, ma Renato Casaro, 86 anni, incastrato nel videomapping dei suoi cartelloni, non è mai stato così pop. Dai battenti del Salce si aprono meraviglie: l'antica chiesa dei Fiorentini di Treviso diventata, dopo 7 anni di lavori e un investimento complessivo di quasi 7 milioni di euro, il Museo dell'affiche italiano, è una fabbrica di emozioni e sogni. La nuovissima sede, aperta ufficialmente ieri, completa l'investimento sul complesso di San Gaetano ed ospiterà (insieme al museo di Santa Caterina) fino al 31 dicembre la mostra Renato Casaro. L'ultimo cartellonista del cinema curata da Roberto Festi ed Eugenio Manzato.
IL PERCORSO
C'era un ragazzo che amava il cinema.
SPEZZONI FAMOSI
Mentre l'ultimo grande cartellonista ricorda, sulle pareti dell'ex Chiesa di Santa Margherita vengono sparati frammenti del cinema mondiale Sono le sue opere. «È un'emozione enorme vedere i miei cartelloni. Poi c'è da dire che dal 2000 il digitale ha cambiato il nostro mestiere. Non sempre in meglio. I manifesti in videomapping sono bellissimi, ma io preferisco sempre l'artigianalità». Casaro inforca le scale, perchè sulla terrazza del nuovo museo c'è l'esposizione tradizionale di alcuni dei suoi più grandi successi. Partendo da Amadeus. «Era un film molto bello. Credo i manifesti siano tra quelli che mi sono riusciti meglio. Milos Forman un genio». Nella nuovissima aula dedicata agli ipovedenti il manifesto tattile è Un Tè nel deserto di Bernardo Bertolucci. Un film che gli diede qualche grattacapo. Non Bernardo - ripete - ma il suo staff mi mise moltissimi paletti per il Tè nel deserto. Se in copertina appariva Debra Winger avrebbe dovuto esserci anche il protagonista maschile e l'antagonista. Questioni di equilibri ovviamente. Allora io, per uscire dall'impasse, disegnai una donna di spalle in mezzo ad un deserto. Ancora oggi è uno dei manifesti più iconici».
Nessun problema invece con Quentin Tarantino, regista con cui ha collaborato per C'era una volta a Hollywood. «Gli voglio molto bene. Soprattutto perchè ha detto che sono il più bravo. Anche se non credo che sia la verità». Tre musei, tre sedi per un'unica grande carriera. «Sono molto orgoglioso. È una grande, ma non è tutto il mio lavoro. Che, a guardarlo adesso è davvero imponente». Poi il lavoro minuzioso, le molteplici bozze, il piacere della perfezione. «Oggi è cambiato tutto. E devo dire che tra i film attuali non ce n'è uno che mi abbia ispirato in maniera particolare. Poi ora vanno molto le commedie, io non ho un grande feeling con il genere. Non ho rimpianti, è tramontata un'epoca».
L'ESPOSIZIONE
La mostra documenta 170 film in oltre 300 cartelloni, partendo dai manifesti a due o quattro fogli destinati alle sale cinematografiche. Oltre cento i pezzi selezionati e restaurati per l'occasione. Divisa su tre sedi, l'esposizione parte a Santa Caterina sviluppando in ordine cronologico la sezione Treviso, Roma, Hollywood per concludersi con i grandi capolavori a Santa Margherita. Nella sede di San Gaetano invece si ripercorre la filiera per la creazione di un manifesto: dai contatti con le majors, ai bozzetti di prova. Alla vernice avrebbe dovuto essere presente anche il ministro Dario Franceschini, che tuttavia ha inviato una nota di saluto. «La positiva collaborazione tra il Ministero e la Regione ha permesso di recuperare questo antico edificio a lungo abbandonato e di restituirlo al patrimonio culturale della città con la conservazione e il restauro della più importante raccolta di manifesti, testimonianza del genio italiano nella grafica e nella pubblicità».