Red Canzian: «Impossibile che il 2021 sia peggio del 2020. Quando è morto Stefano D'Orazio ecco cosa ho fatto...»

Giovedì 31 Dicembre 2020 di Michele Miriade
Red Canzian
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TREVISO «Non avrei mai pensato che il Covid, un virus vigliacco, provocasse un 2020 così funesto, ma la musica sarà la colonna sonora delle nostre speranze». Red Canzian, l'ex Pooh, trevigiano Doc, musicista a tutto tondo, ha da poco perso l'amico di una vita artistica, un «fratello» come Stefano D'Orazio.

E a Stefano, Red ha dedicato un brano, composto la notte della sua scomparsa. Ora il bassista, chitarrista e cantante trevigiano racconta l'anno che se ne va, le speranze per il futuro, anche in musica, e porge gli auguri ai trevigiani. Con un'avvertenza: «Sarà impossibile che il 2021 sia peggio del 2020».

Red, un 2020 disastroso per colpa di un virus? «Se mi avessero detto che sarebbe successo tutto quello che il 2020 ha provocato, non ci avrei mai creduto. Eravamo felici perché da 70 anni in Europa non scoppiava più una guerra, di colpo, tutto si è fermato, per colpa di un piccolo virus vigliacco. E di colpo ci siamo resi conto di quanto la nostra società, le nostre certezze, le nostre vite, fossero fragili e facilmente attaccabili».

Quindi come lo ricorda? «Lo voglio considerare un anno da non dimenticare per fare buon uso dei suoi insegnamenti, cercando di ricordare il valore che, in tempo di lockdown, abbiamo scoperto nelle cose più semplici, quelle che più ci sono mancate».

Un anno che si è portato via affetti cari e quello che per lei era un fratello come Stefano D'Orazio. «Nella prima ondata di covid non avevo avuto nessuna persona vicina che si fosse ammalata, poi l'estate aveva un po' stemperato le paure e solo in autunno siamo precipitati nuovamente nel cuore della pandemia. Ricordo ancora la telefonata che mi annunciava che avevano dovuto intubare Stefano, e poi quello straziante altalenarsi di notizie positive e negative fino a quella del 6 novembre, quella che non avrei mai voluto sentire. Per me non è stato solo perdere un compagno di lavoro, il tempo vissuto insieme, come noi abbiamo avuto la fortuna di viverlo, trasforma 47 anni in cento vite, e ti accorgi di aver perso un pezzo di te».

Senza i concerti dal vivo, come ha vissuto questi mesi? «La musica è una buona compagna, sa essere amica e amante, a seconda dei momenti e di quello di cui hai bisogno, e se tu la rispetti, non ti abbandona mai. E anche stavolta è andata così. Ho composto molti brani, ho finito di scrivere la mia opera pop su Casanova e la notte che è morto Stefano ho anche scritto un brano dedicato a lui, a noi. Mi sono messo al pianoforte e piangendo l'ho scritto. Non so se e quando lo pubblicherò, forse mai, ma avevo bisogno di farlo».

Da quel concerto live della primavera scorsa, in piazza dei Signori, con il pubblico, c'erano più speranze. «In quel concerto c'era tutto l'amore che io e i miei musicisti proviamo per questo mestiere, e c'era anche un grande bisogno da parte del pubblico di ritornare alla musica, al sogno, allo stare insieme. E nonostante la pioggia battente nessuno si è mosso, e la musica, quella fatta col cuore e poco altro, un pianoforte, una chitarra e la mia voce.... beh, quella musica volava alta in una piazza dei Signori di nuovo quasi piena, visti gli obblighi di distanziamento».

Le sono mancati i contatti con le persone care? «Io sono uno che dà la mano, che tocca le persone e che abbraccia gli amici e tutto questo mi è mancato molto. Uno slancio d'affetto che si risolve con un gomito a gomito è davvero triste! Mia moglie Bea, i miei figli e Gabriel, il mio nipotino, sono stati un prezioso nutrimento per l'anima, durante questi giorni».

Questo virus ha risvegliato e provocato tante paure nella gente, come spazzarle via? «Il rischio maggiore è che la paura prenda il sopravvento sulle nostre azioni e ogni entusiasmo venga spento. Non c'è nemico peggiore della paura, può demolire ogni progetto».

Dal male vissuto, possiamo trarre qualcosa di positivo? «Andrà tutto bene, dicevamo e scrivevamo sulle lenzuola appese ai poggioli a marzo, qualcuno ha anche detto che da questo periodo di dolore usciremo tutti migliori. Poi qualcuno ha cominciato a dire il contrario. Credo che non esista una risposta che vale per tutti. Le difficoltà economiche, ad esempio, non aiutano di certo a migliorare. Vorrei che almeno custodissimo il valore riscoperto delle piccole cose alle quali non davamo importanza quando potevamo averle in ogni momento. Un abbraccio, la compagnia di una persona cara, la carezza di un genitore o di un figlio, il sentirsi dire dal vivo e non al telefono: ti voglio bene».

Come affrontare l'anno nuovo, sogni e desideri? «Il nuovo anno vincerà facile... essere peggio del 2020 è praticamente impossibile. E allora ritroviamo la forza e l'entusiasmo delle grandi partenze. Lo dobbiamo a noi stessi ma anche a chi, per colpa di questo virus, ha pagato un prezzo e ci ha lasciato. Ora è tempo di credere e sperare in qualcosa che potrà solo essere migliore».

La musica e le speranze non devono mai essere fermate? «La musica è la colonna sonora dei nostri sogni e delle nostre speranze, e per questo devono volare sempre insieme, e sempre più in alto. Qualcuno un giorno ha detto la vita senza la musica sarebbe un errore, io aggiungo che il meglio arriverà se sapremo proteggere la bellezza dei nostri sogni».

Un augurio ai trevigiani e ai suoi fan? «A tutti i miei amici, alla mia gente, alla mia città, auguro un anno che sappia traghettarci verso la normalità e spero che questo Capodanno, senza botti e baldorie, diventi lo spartiacque tra il dolore e il buio vissuti e i giorni di sole e di speranza che ci spettano»..

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