Signori, il Raboso del Piave, tre vini, tre storie, tre famiglie. Non solo Prosecco

Martedì 5 Aprile 2022 di Elena Filini
Signori, il Raboso del Piave, tre vini, tre storie, tre famiglie. Non solo Prosecco
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TREVISO -  Non solo Prosecco: l'antidoto alla monocoltura c'è. E si chiama Raboso.

Vino denso, corposo, che ha in sé l'aspro dei campi e del fiume, vino che fa pace col tempo. Scoprirlo e degustarlo è fare un passaggio à rebour nell'entroterra Serenissimo. E puntare il compasso sul lungo Piave trevigiano. Terra di sassi, di verde rigoglioso, di spazi che guardano lo scorrere dell'acqua e hanno alle spalle la montagna. Tre vini, tre identità un solo Consorzio: dal 2011 Consorzio Vini Venezia valorizza il Raboso Doc Piave e il Malanotte Docg. Questo rosso robusto occupa una porzione di territorio che dai piedi delle colline di Conegliano e del Montello e si dirama sul Piave fino ad arrivare a Cortellazzo alla foce del fiume. «Siamo nel Veneto orientale -spiega Giampaolo Breda, sommelier- la zona di produzione segue il corso del Piave parte a Nord sulla pianura e arriva a confinare con la Laguna. Nell'area del Piave la viticoltura esiste da tre millenni: l'opera di Plinio il Vecchio ci riporta al tema di un'uva nera come la pece». Colore scurissimo, uva rabbiosa, difficile da gestire in cantina e vigna. Il raboso è la prima uva a germogliare, l'ultima ad essere raccolta.


NELLA STORIA
Nel 1400 Venezia rappresenta il più grande mercato d'Europa. Accanto ai vini foresti, che arrivavano per mare dalla Grecia, i vini dolci come la Malvasia, c'erano anche i vini de Venegia nella Serenissima del Piave, il Raboso vin moro o vin da viajo. Quando l'impero di Venezia tramonta, il Raboso non prende più la via del mare ma resta il vino che resiste alle guerre, peronospera e filossera. Con l'unità d'Italia riprende la produzione: i fratelli Bellussi inventano un sistema a raggiera per il Raboso capace di permettere a queste uve di superare le gelate primaverili e le nebbie autunnali. La Bellussera diventa l'icona del Raboso. Poi, negli anni 90, inizia la riscossa del Raboso Piave, la percentuale di appassimento addolcisce l'asprezza del vino dal 15 al 30%. Nel 2010 il riconoscimento della Docg: questo diventa il Malanotte del Piave. Malanotte non è solo il nome del borgo sulle rive del fiume, ma di un'antica famiglia di mercanti di vin da viajo.


LE TESTIMONIANZE
Il digital tasting promosso dal Consorzio alla scoperta del Raboso parte da una bottiglia Ciani Bassetti. «Una villa a scopo agricolo che da 500 anni è dedita all'agricoltura -spiega Claudio Ciani Bassetti- ancora oggi una parte della barchessa è destinata la cantina d'invecchiamento dei rossi e tra questi il Raboso ha sempre fatto parte della nostra storia». Il Raboso a Roncade si coltiva con vigneti a spalliera (metodo Buyot) con impianto fitto. «Un Raboso per noi importante è il Raboso Doc Piave 2017, annata che ha subito importanti choc termici, con più di metà della produzione persa. Questo vino ha sostato per 3 anni in botti grandi, e poi dagli 8 ai 12 mesi in bottiglia». Ylenia Sandre propone un Raboso Doc Piave di Campodipietra che ha una caratteristica precisa data dalla surmaturazione. «Vendemmiamo ai primi di novembre, non facciamo appassimento ma portiamo il grappolo in pianta alla maturazione anche grazie alla defogliatura». Infine, Florian von Stepsky-Doliva infine sceglie il Docg Malanotte della cantina Rechstainer. Il mio bis bisnonno di origine svizzera, viaggiando, si è innamorato dell'Italia zona Treviso e Venezia diventando console onorario tedesco a Venezia 1881». Quinta generazione, Florian vive e lavora nella villa di famiglia e coltiva il Raboso col metodo a Bellussera.

 

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