Pistole, soldi e insulti nei video rap. Il questore: «Messaggi inaccettabili»

Domenica 21 Marzo 2021 di Serena De Salvador
Le pistole, giocattolo, in bella vista in uno dei video rap girate dalle band hip hop a Treviso e Conegliano
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Pistole, strafottenza, linguaggio infarcito di insulti, volti senza le mascherine. Sono gli ingredienti che hanno fatto levare un polverone attorno ai video musicali dei diversi giovani gruppi della scena trap trevigiana. Tra indagini della polizia, ragazzi identificati, armi sequestrate e possibili multe e denunce in arrivo, il fenomeno ha scosso l’opinione pubblica. Fondamentale per capirlo è però il distinguo fra cosa è illecito e cosa è invece sgradevole. Perché se da un lato i giovani rischiano di pagare sul piano penale e amministrativo le loro espressioni artistiche, dall’altro è pur vero che certi messaggi non si possono punire con una multa o una denuncia, ma non per questo non sono gravi. Ed ecco che il genere più in voga tra i giovani rischia di veicolare non solo l’immagine di una vita che scavalca le regole, ma anche una scala di valori pericolosa. Per la quale serve un’opera di educazione e convivenza profonda. Ne è convinto il questore Vito Montaruli, che del fenomeno traccia un’istantanea precisa.
Fra Treviso e Conegliano, diversi sono stati i video che hanno mobilitato la polizia, portando a identificare (fin dal 2019) diversi ragazzi. Quali rischi corrono?
«I casi di questo tipo sono molteplici e tutti attenzionati dalla questura. Si parte con l’identificazione dei partecipanti, poi spetta all’autorità giudiziaria fare le sue valutazioni. Certo, possono scattare provvedimenti sia sul piano amministrativo, ad esempio con le multe per non aver rispettato il distanziamento e l’uso della mascherina, ma anche con eventuali denunce. Al momento non ce ne sono state, ma deve essere chiaro che se vengono riscontrati possibili reati il rischio è concreto. Più ancora degli illeciti però a preoccupare devono essere i messaggi che questi video rischiano di far passare».
La trap è un genere che oggi viene emulato da molti giovani, fatto di un atteggiamento sprezzante, di un linguaggio ricco di volgarità, dell’ostentazione di denaro, droga, potere. Qual è il confine tra espressione artistica e rispetto delle regole?
«Certamente vengono espressi dei comportamenti molto lontani dagli ideali di buona parte della popolazione, specie quella adulta. Parliamo di ragazzi molto giovani, non bisogna criminalizzare quella che è un’espressione musicale. Ma bisogna altrettanto essere perentori: è inaccettabile diffondere certi messaggi e valori, esattamente come lo è esibire in pubblico una pistola, anche se è una riproduzione, anche se è solo “per fare scena”. Non importa se non ci sono espliciti divieti dal punto di vista delle leggi: ci sono comportamenti che non comportano una denuncia, ma che non per questo non sono da condannare».
Ad esempio?
«Pensiamo al linguaggio: insulti alle forze dell’ordine, ai pubblici ufficiali come i controllori dei mezzi pubblici, per non parlare degli epiteti con cui si rivolgono alle donne, alle ragazze e ragazzine della loro età. Una scala di valori pericolosi, figlia di dinamiche sociali che arrivano a toccare i temi dell’integrazione (quasi tutti i membri dei gruppi sono italiani di seconda generazione, ndr) e del vivere civile. E che a loro volta trovano risposte altrettanto inaccettabili, come gli insulti razzisti che sono stati rivolti agli stessi ragazzi».
Quali sono le possibili soluzioni?
«Prima della repressione serve un’ampia opera di educazione nel senso più completo e radicale. Tutti, dagli adulti alle forze dell’ordine fino alle istituzioni dobbiamo lavorare affinché tutti possano coesistere in una società complessa, con differenze che però riescono a conciliarsi. A partire dai giovani. La polizia da anni è presente con attività nelle scuole e a breve partirà il progetto “Pretendiamo la legalità”, che coinvolgerà i ragazzi delle superiori e delle medie».
 

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