Tutti i segreti dei "bolidi" Pinarello: dove nascono le bici che trionfano alle Olimpiadi

Venerdì 6 Agosto 2021 di Paolo Calia
Il laboratorio Pinarello dove nascono le bici dei campioni

TREVISO «Terminata la finale dell’inseguimento a squadre ho mandato un messaggio a Malagò (presidente del Coni ndr) dicendo che, alla fine, ho preferito colorare le biciclette degli atleti di un blu cobalto invece che di bianco. E il colore ha portato fortuna. Lui mi ha risposto: “Bene così. Andiamo avanti fino al 2024, fino a Parigi”». Fausto Pinarello, tra un sorriso e l’altro, dà anche una notizia: la sua azienda, che in queste olimpiadi ha visto i ciclisti in sella alle bici Pinarello conquistare due medaglie d’oro e due di bronzo, continuerà a lavorare con la Federazione e col Coni almeno fino ai prossimi giochi olimpici parigini: «Dopo trent’anni che siamo qui è una soddisfazione. In vista di Parigi penseremo a un altro bolide, una bici tutta nuova». Insomma: a Tokyo si corre ancora, ma tra Villorba e Treviso si guarda già a quanto accadrà tra tre anni. Anche questo è il segreto del successo.
 

NEL LABORATORIO
Le bici avveniristiche degli uomini jet azzurri nascono tra una decina di scrivanie distribuite in un ufficio ampio, luminoso, popolato da tecnici giovani, quasi tutti ex ciclisti di livello, abilissimi nell’immaginare il futuro. Ambiente elegante, ma essenziale: poche immagini alle pareti, grandi monitor dove compaiono e spariscono telai stilizzati, schermate di calcoli, proiezioni tridimensionali. I volti sono rilassati, contenti. “Pippo” Ganna, trascinando il quartetto dell’inseguimento all’oro olimpico, ha coronato il lavoro degli ultimi quattro anni: «Diciamo che un paio di decimi decisivi per quella vittoria li abbiamo conquistati qui. In questi uffici». Federico, la guida nel laboratorio Pinarello, indossa la mascherina, ma ha gli occhi che brillano. Così come Maurizio Bellin e Massimo Poloniato, responsabili del settore Ricerca e Sviluppo: è il loro team ad aver pensato, pezzo per pezzo, la bici jet trionfatrice in Giappone. Spiegano con passione cosa c’è dietro a un trionfo del genere. Tanti segreti, ovviamente, non vengono svelati. Ma solo il racconto di come nasce il manubrio delle bici da pista, e da inseguimento in particolare, basta per far capire il livello altissimo che si tocca, ogni giorno, qui: in viale della Repubblica. Mica in California o a Pechino.
 

LE MISURE
«Le bici in fibra di carbonio e costruite in base alle caratteristiche degli atleti - spiega Bellin - fondamentale per il risultato finale è la postura.

Indispensabile quindi realizzare un manubrio che sia un guanto». I manubri degli uomini jet, che spingono a 70 chilometri orari bici con cui un comune mortale non riuscirebbe nemmeno a fare una pedalata, sono realizzati con stampe in 3D in titanio. «Qui prendiamo le misure, poi le elaboriamo con dei software particolari che solo Pinarello ha e facciamo il primo calco. A quel punto andiamo in pista, li montiamo sui telai e facciamo provare gli atleti. Quando trovano la posizione migliore, scannerizziamo, torniamo al computer e prepariamo tutto». Adeguare questo processo a uno come Ganna, oltre 190 centimetri d’altezza e un fisico possente, non è stato semplice. Le misurazioni si sono sprecate al punto che lui stesso un giorno, dopo l’ennesima prova, ha preso in contropiede i ragazzi che smanettavano al computer: «Gente, per me potete montare anche il manubrio di una Graziella. Tanto l’olimpiade la vinco lo stesso». Aneddoto che, oggi, fa sorridere più di qualcuno tra gli uffici.

LE VITTORIE 
«I manubri sono pezzi unici - continua Bellin - così come le componenti delle varie bici. Sono talmente personalizzati che diventa complicatissimo sostituire un componente della squadra. Tutto è fatto su misura». Dall’ufficio sviluppo si passa poi all’officina. Ma con calma: sul grande televisore che domina l’atrio d’ingresso sta andando in onda la gara di Elia Viviani nell’Omnium. Da tredicesimo rimonta e culla prima il sogno di giocarsi l’oro, poi quasi convince di avere la mani sull’argento ma infine si accontenta del bronzo. Alla Pinarello i ragazzi del team sviluppo seguono con palpitazione gli ultimi giri: «Corre con una nostra bici». Anche in questo caso il manubrio, più tradizionale rispetto a quello dell’inseguimento e delle cronometro, è stato fatto, pesato e studiato su misura. Il terzo posto viene ben accolto. Ma qui sono abituati a vincere. «Quest’anno - ricorda Fausto - abbiamo vinto tutte le gare a tappe, Giro compreso, tranne il Tour dove siamo arrivati terzi. Insomma: non c’è solo la pista». Nella gara olimpica su strada, sono stati tredici i corridori di otto nazioni diverse a correre con una Pinarello, ormai marchio di portata globale. Nemmeno da dire che nel conto c’è anche chi ha vinto l’oro. E oltre all’aspetto sportivo, qui pesa anche quello commerciale: «Il ciclismo è l’unico sport dove le bici top, quelle usate per la strada, poi vengono anche messe sul mercato», spiegano. Quelle da pista, per la loro particolarità, di mercato ne hanno molto poco: «Con la pista non si guadagna - ammette Fausto - ma è importante esserci». Importante, soprattutto, è l’immagine. Per regolamento, un’azienda privata non può farsi pubblicità con le medaglie vinte all’Olimpiade. Ma nella sede trevigiana hanno molto apprezzato vedere Ganna che, euforico per l’oro, ha sollevato sopra la testa la sua Pinarello (che, per la cronaca, pesa 7,1 chili): «Quell’immagine ha fatto il giro del mondo». E ha allargato i sorrisi di chi ci ha lavorato sopra per anni.

 

Ultimo aggiornamento: 7 Agosto, 09:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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