Paolo Rossi sul palco a Treviso: «Amo il teatro di "rianimazione" palestra di follie»

Martedì 29 Novembre 2022 di Chiara Pavan
Paolo Rossi atteso a Treviso (foto Monica Condini)

Il teatro, per lui, è «rianimazione», «emergenza», coraggio di «abbracciare il caos». Restando sempre «dalla parte delle cause perse». Paolo Rossi ama il teatro più squisitamente “politico”, quello della “polis” che si riunisce in un luogo, non necessariamente quello canonico, per condividere qualcosa di unico che prende vita soltanto lì, in quel preciso momento. «Siamo un genere di conforto, il sano intrattenimento indispensabile come la benzina necessaria per attraversare questi tempi difficili». Ecco allora il nuovo “Scorrettissimo me - Per un futuro, immenso repertorio”, con cui il comico e drammaturgo milanese (nato però a Monfalcone) torna sul palco, ospite del teatro Sant’Anna di Treviso il 1 dicembre (ore 21), invitato dal Gruppo Alcuni a chiudere la loro rassegna “Satira invece”.

Paolo, “scorrettissimo” lei lo è sempre stato...

«Ma il vero titolo è “Per un futuro, immenso repertorio”, è più esaustivo.

Diciamo che lo spettacolo è una sorta di “depliant autopromozionale” in cui ci presentiamo, io e la band che suona dal vivo (Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari, Stefano Bembi), mostrando le nostre possibilità. E immaginiamo il futuro per ricordarci il presente. Noi siamo disponibili pure per matrimoni, battesimi feste di divorzio e funerali allegri».

Cosa racconterà sul palco?

«Ci sono poche regole: racconti solo quello che ti è successo o che ti hanno raccontato in modo così avvolgente che è come se tu l’avessi vissuto, o quello che ti prometti di fare. Non si imita. Si evoca».

A lei piacciono i “luoghi” non convenzionali.

«Quelli diversi dai luoghi canonici. Domani, ad esempio, saremo in una fabbrica. E’ un dato di fatto, su 10 richieste che mi arrivano, solo 3 sono per i teatri: ci sono caffè teatro, auditorium studenteschi, andremo addirittura in un posto incredibile in Puglia, dove un signore ha adibito la sua cantina a spazio teatrale. Del resto anche se salgo sul tavolo in un bar e comincio a recitare, quel bar diventa teatro».

Abolendo la quarta parete e chiamando in causa il pubblico.

«Non ho mai considerato la quarta parete: per me il teatro è un rito partecipato, una sorta di assemblea di comunità. Penso che i teatri, e forse per questo ho poche richieste da lì, dovrebbero tornare a essere luogo di relazioni sociali e umane, dove la comunità si ritrova insieme e condivide storie, bisogni, comicità».

Cosa significa oggi comicità?

«Avere il coraggio e senso dell’azzardo, regola principe per chi fa questo mestiere, nell’abbracciare il caos, senza giocare con i vecchi schemi, per fare in modo che il palco sia anche palestra di follia... da condividere con la comunità. Poi possiamo pure dircelo, con il curriculum alle spalle che ho, sia di satira che di lotta, non sono un mezzo per arrivare a un fine. Sono già loro, gli spettatori, il fine perché ci divertiamo: anche se sembra assurdo, è l’unico modo oggi per stare dalla parte delle cause perse».

Facendo teatro fuori dai teatri.

«Facendo spettacoli fuori dai luoghi canonici, come i caffè teatro, ad esempio, incontro coppie che mi dicono: siamo venuti anni fa a vederti e stiamo insieme da allora, ci siamo sposati e abbiamo fatto figlio. Che poi mi presentano. Ecco, io servo anche a quello (risata), sono “padre”, come San Giuseppe sono “padre responsabile”... basta non mi chiedano il mantenimento».

Largo allora al teatro di domande.

«Sì, più che di risposte. Siamo un genere di conforto, come il pane, utilissimo e nobile. Noi portiamo i viveri là dove ci sono le barricate. Ma non diciamo come fare barricate».

La satira è ormai in affanno.

«Si è imbarcata in una missione impossibile, fare la parodia della parodia».

Meglio il teatro-assemblea?

«Io sono contento di muovermi, come ho fatto durante il lockdown, andando nei cortili delle case e nei luoghi più impensati. Perchè ho ritrovato l’incanto di questo mestiere. Cosa importa la bella imitazione o il giusto lazzo al potente di turno? Oggi il discorso è diverso. Quando mi chiedono come si fa a portare i giovani a teatro rispondo: semplice, basta proibirlo. E lo dico con convinzione. Oggi non va bene proporre una cosa da vivo dove la gente si ritrova, condivide un pensiero, un problema, una risata, e poi magari fa l’amore dopo lo spettacolo. (risata) Meglio proibire!». 

Ultimo aggiornamento: 07:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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