Chiude l'osteria da Arman: «Qui mai un contagio, ma dobbiamo fermarci»

Domenica 7 Marzo 2021
Chiude l'osteria da Arman: «Qui ami un contagio, ma dobbiamo fermarci»

TREVISO Se l'arancione è il colore del momento, c'è un arancione che per un po' smetterà di far tendenza. È lo spritz: ultimo scampolo di etilica socialità, che deve cedere alle regole della sicurezza e all'emergenza contagi.

Manca mezz'ora alle 18. E inizia il countdown. Gli ospiti si guardano come i condannati: meno 30 e poi lo spritz del sabato sarà un rito da riporre nel cassetto per settimane. Il che non è nulla di fronte ai grandi problemi dell'umanità. Ma è molto dopo un anno di divieti e obblighi, di socialità negate. È una boccata d'ossigeno, una piccola oasi di benessere. «L'ultimo gesto d'amicizia è stato venire a berla qui insieme», commenta Stefano Zanotto, patron di Arman. Fa il vigile urbano dalle 16, controllando che le persone restino sedute, che le mascherine siano posizionate correttamente, che i tavoli siano contingentati. «È durissima - conferma - le persone non riescono a capire. Si adirano con noi, ma abbiamo el mani legate. E, giustamente, aggiungo. C'è una pandemia in corso: tutto si può fare, ma con le regole adeguate. Inutile far i fenomeni. Perchè poi la curva dei contagi ci attende al varco». 


L'ULTIMO BICCHIERE

Decine di bicchieri rosse e arancio transitano dal bancone ai tavoli. «Ancora uno» la frase ricorrente. Da Arman si viene per l'ultimo goccio di felicità. E non è l'aperitivo in senso stretto, è l'amico a cui accenni un sorriso, il collega che ti racconta la giornata, il conoscente che magari vedi mille volte fuori ma con cui qui riesci ad aprirti. È la magia di questi luoghi, inessenziali e importantissimi. «Oggi a pranzo abbiamo il sold out. Poi si chiude baracca. E almeno per un mese, anche se io penso fino dopo Pasqua. Giusto? Sbagliato? Non sta a me decidere». Un gruppo di clienti si alza, passa una pattuglia, Zanotto si irrigidisce. «Non capiscono o non vogliono capire: c'è ormai un malessere che degenera in menefreghismo». Squilla il telefono: «Avete posto stasera?». Si mette le mani nei capelli. «Ma io capisco le persone: siamo talmente bersagliati da informazioni contrastanti che uno non capisce più nulla. Asporto? Non l'ho mai fatto e non lo faccio. Ad ognuno il suo. Da Arman si viene per il cibo ma soprattutto per altro». Gioca due numeri al lotto. Sono di un noto pasticcere mancato. «L'ho sognato, è stata un'emozione strana. È mancato da poco per Covid». Meno 5 alle 18. Inizia la raccolta dei bicchieri. Le ragazze all'interno iniziano a sparecchiare, dicono alle persone con educazione di iniziare a levare le tende. Si esce ma a gran malincuore. Si sosta fuori, nel sottoportico, per gli ultimi saluti. E ci sarebbe ancora la voglia del bicchiere della staffa. «Assolutamente no. Alle 18 io chiudo». 


IL MALUMORE

Poi però. Ragionando tra sè e sè racconta dei mille inviti privati ricevuti durante il lockdown, di quei colleghi che finiscono di lavorare e si aprono la bottiglia in ufficio, delle cene private. «Perchè le persone alla fine lo fanno lo stesso. E in maniera decisamente meno controllata». Se si apre il capitolo ristori, la risata è quasi incontenibile. «A dicembre ho ricevuto 8000 euro e poi ho pagato una fattura di 11 mila. Giusto, per carità. Ma la speranza è che il nuovo governo cambi passo». Mancano una manciata di secondi: la sfida è convincere gli ultimi clienti a lasciare l'area del locale. Le due serrande piccole sono già chiuse, manca l'ultima grande. Si accende un sigaro: «Se penso che da me non si è ammalato nessuno in un anno, nè tra i dipendenti nè tra i clienti mi viene da pensare. Ma siamo davvero noi il problema? Comunque per carità si è fatto. Salutiamo pure la Pasqua e rimaniamo in attesa». L'odore metallico della grata è secco. Suona definitivo almeno per un po'. E anche lo spritz, rito per eccellenza del sabato trevigiano, va in stand by. Ora è tempo di un altro arancione. 
E. F.

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