Omicidio di Moriago, il dg Benazzi difende i servizi sociali: «Con Biscaro hanno fatto il possibile»

Domenica 27 Giugno 2021 di Paolo Calia
Francesco Benazzi
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TREVISO I disturbi di cui soffriva certamente, ma anche l'isolamento forzato dovuto ai periodi di lockdown può aver contribuito ad aggravare la situazione psichica di Fabrizio Biscaro. Francesco Benazzi, direttore generale dell'Usl 2, tira un po' le somme di un caso drammatico, dai contorni ancora non del tutto chiari.
Direttore Benazzi, intanto l'Usl ha consegnato alla Procura tutte le cartelle riguardanti Biscaro.


«Noi siamo a disposizione della procura e del procuratore che vorrà vedere tutti gli atti.

E siamo ovviamente vicini alla famiglia della ragazza». 


I servizi psichiatrici dell'Usl hanno fatto tutto quello dovevano?
«I nostri hanno fatto tutto il possibile per seguire il signor Biscaro. Ma poi, come tutti sanno benissimo, c'è l'autodeterminazione alla cura. Una persona, in grado di intendere e di volere, può decidere di interromperla e tornare nella società senza essere più seguito».


Ci sono stati altri casi in passato?
«Un caso simile a quello accaduto in questi giorni è quello di Succo: anche qui era stato arrestato per problemi legati alla sua psiche e, dopo un periodo, proprio perché stava bene e non assumeva più farmaci, ottenne un permesso e fuggì. E tornò a uccidere».


Il caso Biscaro è un po' diverso, ma resta la sostanza di un paziente che a un certo punto smette di prendere i farmaci, volontariamente.
«In questo caso abbiamo avuto questa dicotomia tra dismissioni, o non più utilizzo dei farmaci, e gli eventi che poi, purtroppo, si sono succeduti».


In questo modo si rischia di avere in giro persone potenzialmente pericolose?
«No, non rischiamo di avere in giro gente potenzialmente pericolosa. I servizi ci sono. Il problema è normativo perché non possiamo obbligare nessuno a farsi curare. Diventa quindi indispensabile avere una rete sociale attorno a queste persone in difficoltà».


Una rete formata da comuni e famiglie?
«Di solito sarebbe bene se ci fosse un sostegno da parte della famiglia, della rete sociale, per tenere costantemente agganciata la persona che ha problemi. Questo è chiaro. Indipendentemente da quanti psicologi, psichiatri, educatori o assistenti sociali si possono mettere in campo, fondamentale è la rete composta dalla famiglia. La prima che, in genere, riesce a intuire se ci sono difficoltà da parte della persona che soffre di disturbi». 


In questo caso non è successo.
«Forse un campanello d'allarme andava dato. Poi questo semi lockdown, che ci ha costretti a stare a casa, ha contribuito a potenziare dei disturbi che probabilmente erano sopiti».


Ci possono essere anche delle conseguenze dovute al troppo tempo passato davanti ai videogiochi?
«Non sono competente in questo campo, ci sono altri soggetti che possono parlare meglio di me attorno a questi aspetti. Sicuramente, continuo a ribadire, questa persona non aveva avuto più comunicazione importanti con l'esterno. E, probabilmente, questo può aver acuito il suo disagio».


Insomma, una tragedia che non si poteva evitare.
«La persona ha il diritto di sospendere l'assunzione di farmaci. In questo caso parliamo poi di una persona autonoma, capace di intendere e di volere, che non aveva tutore o altre figure di garanzia. Quindi dovevamo rispettarne le indicazioni. I nostri hanno fatto correttamente quello che dovevano fare: non sono entrati nel merito di scelte che sono individuali».

 

Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 10:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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