Autosalone in odore di 'Ndrangheta: non può aprire la filiale nel Trevigiano

Venerdì 25 Ottobre 2019
Autosalone in odore di 'Ndrangheta: non può aprire la filiale nel Trevigiano
TREVISO - Era in odore di 'Ndrangheta, e per questo gli è stata negata la licenza. La Prefettura di Treviso, nei giorni scorsi, ha adottato un'interdittiva antimafia nei confronti di un'azienda, con sede in Lombardia, che aveva chiesto autorizzazione per aprire una propria filiale in provincia di Treviso. Secondo quanto emerso dagli accertamenti dei funzionari prefettizi, il legale rappresentante della società, attiva nella compravendita online di autoveicoli, era legato ad alcuni clan calabresi e a consorterie ben note alle forze dell'ordine. C'era l'ombra della criminalità organizzata. E la ditta stessa, tra l'altro, presentava una situazione societaria ingarbugliata, ben difficile da ricostruire con chiarezza. Motivo per il quale la Prefettura, dopo la domanda inoltrata dal Comune al quale era stata formalmente stata richiesta la concessione di vendita per l'apertura della sede trevigiana dell'autosalone, ha  emesso l'interdittiva antimafia. Si tratta del primo provvedimento di questo tipo adottato quest'anno nella Marca, ma non del primo in assoluto. Stando agli ultimi dati forniti dall'Autorità nazionale anticorruzione, tra il 2014 e il 2018 sono state individuate in Veneto 37 aziende in odore di mafia: 14 a Verona, 7 a Venezia, 6 a Treviso, 5 a Rovigo, 3 a Vicenza e 2 a Padova.
PREVENZIONE«Si trattava di un'attività legata alla vendita on line di autoveicoli - spiega il Prefetto Maria Rosaria Laganà - che aveva richiesto al Comune in cui voleva aprire la filiale un'autorizzazione di vendita. L'istruttoria è stata lunga e complessa. Durante l'accertamento sono emersi dei contatti sospetti con delle consorterie. La situazione apparentemente sembrava lecita, ma c'era la possibilità di possibili infiltrazioni. E per questo, in via preventiva, è stata emessa l'interdittiva». Prevenzione. È proprio questo l'aspetto su cui si concentra il Prefetto. «È importante che le istituzioni, così come le categorie e gli imprenditori stessi, non abbassino la guardia. Mai. Chi si trova in difficoltà deve affrontare le criticità senza affidarsi a chi offre soluzioni facili: l'abbondanza di denaro e la facilità nel concedere prestiti, che poi si trasformano in usura ed estorsioni, sono un campanello d'allarme. Sono convinta che il tessuto produttivo trevigiano e veneto sia sano, e per questo non possiamo accettare neanche la minima infiltrazione da parte della criminalità organizzata». Che la Marca non sia immune della infiltrazioni mafiose è ormai una realtà confermata dalle ultime inchieste della Dia di Venezia. «Ma gli anticorpi per combatterla ci sono, a patto di non sottovalutare il fenomeno» ha rassicurato il tenente colonnello della Guardia di Finanza di Treviso Andrea Leccese, uno dei relatori del convegno sulle infiltrazioni mafiose organizzato ieri da Banca della Marca con Unisef e Proetica nell'azienda Borgoluce di Susegana. 
SEGNALAZIONI BANCARIEMarcello Todde della Banca d'Italia ha confermato che la Marca è presente in buona posizione tra le province venete che inviano a Bankitalia, in massima parte tramite altre banche e intermediatori finanziari, segnalazioni di aziende che lasciano tracce sospette con i loro movimenti bancari: nel 2018 sono state 98.030 quelle ricevute dall'istituto, oltre 4mila in più rispetto all'anno precedente. «In Veneto la provincia che primeggia per segnalazioni è Verona con circa 1.700, seguita di misura da Padova mentre Treviso e Vicenza si attestano tra le 1.400 e le 1.500. Il trend in crescita delle segnalazioni ci dice che il sistema finanziario manifesta consapevolezza del problema». Problema che, come ha dimostrato una capillare ricerca condotta dall'Università di Padova, è presente anche nel centro e nel nord d'Italia. Il professor Antonio Parbonetti e i suoi collaboratori hanno studiato gli effetti economici del radicamento della criminalità in questi territori analizzando 160 operazioni realizzate tra il 2005 e il 2018 che hanno portato a condanne per mafia o concorso esterno in associazione mafiosa. Circa 1.300 le aziende i cui bilanci sono stati esaminati, e le conclusioni sono state numerose: di norma, ha detto Parbonetti, «le aziende criminali operano in tanti settori, non sono di piccole dimensioni e fanno molti debiti. In certi casi ci si trova di fronte a una filiera integrata diffusa sul territorio: pensiamo all'indagine Camaleonte (il maxi blitz contro la ndrangheta in Veneto dello scorso marzo ndr), in cui il 30% delle aziende indagate sono edili». 
Alberto Beltrame
Luca Anzanello
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