Morto di epatite dopo una trasfusione: maxi risarcimento alla famiglia

Martedì 27 Aprile 2021 di Giuliano Pavan
L'ospedale di Castelfranco dove il 62enne, emofiliaco, venne sottoposto alle trasfusioni negli anni Ottanta
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CASTELFRANCO - Dopo anni di battaglia legale, la famiglia di un 62enne, morto nell’ottobre 2015 in seguito alle complicanze derivate dall’epatite C contratta all’ospedale di Castelfranco Veneto, ha ottenuto giustizia. E un maxi risarcimento da 580mila euro. La Corte d’Appello di Venezia ha infatti rigettato il ricorso presentato dal ministero della salute contro la sentenza di primo grado, che aveva accolto le istanze dei congiunti del defunto, aumentando addirittura l’indennizzo nei confronti della moglie del 62enne. A raggiungere questo traguardo sono stati gli avvocati Glauco Susa e Veronica Marchiori, che hanno rappresentato la donna e i suoi due figli nella causa civile intentata contro l’ospedale. 

La vicenda ha inizio negli anni ‘80 quando la vittima, affetta da emofilia (patologia caratterizzata da una alterazione nella coagulazione del sangue, ndr), si sottoponeva a dei trattamenti periodici presso il centro di assistenza alle emofilie dell’ospedale di Castelfranco Veneto. Trasfusioni di sangue trattato o somministrazione di emoderivati ed emazie effettuate nel corso di più ricoveri. Una pratica comune. All’epoca però il ministero della salute, come riconosciuto in altre sentenze, non effettuava sempre i dovuti controlli che la legge imponeva in merito alla raccolta e alla distribuzione del sangue. Nel 1988 l’uomo era stato sottoposto anche a un intervento chirurgico durante il quale, proprio a causa della sua patologia, gli era stata praticata l’ennesima trasfusione di sangue. Operazione andata a buon fine senza che ci fossero complicazioni di sorta. Nel 1995 però l’uomo viene a scoprire di aver contratto l’epatite C. Le indagini successive avevano stabilito che il contagio era avvenuto proprio attraverso le trasfusioni subite negli anni precedenti. Difficile stabilire quale sia stata la sacca infetta. Di certo c’è che gli era stata somministrata all’ospedale di Castelfranco Veneto, come poi stabilito dai giudici. 

Il ministero della salute aveva in seguito riconosciuto l’errore, erogando al paziente un assegno una tantum a titolo di indennizzo. Ma con il passare degli anni il quadro clinico del paziente è andato via via peggiorando proprio a causa dell’epatite C. Nell’agosto 2015 infatti al 62enne venne diagnosticata un’importante insufficienza epatica degenerata poi in cirrosi, che nel giro di qualche settimana (nell’ottobre 2015, appunto) ha portato al decesso dell’uomo. Fu a quel punto che i familiari, con gli avvocati Susa e Marchiori, decisero di intraprendere una causa civile contro l’ospedale per ottenere un risarcimento. Provato il nesso di causa, il giudice in primo grado aveva disposto il risarcimento dalla moglie e ai figli. In appello il ministero della salute aveva invocato la prescrizione del diritto al risarcimento e contestato l’esistenza del nesso causale tra le somministrazioni di emoderivati e il decesso, avvenuto oltre 30 anni dopo. La Corte ha però non solo confermato la sentenza, ma ha anche aumentato la liquidazione della moglie, considerata non congrua in considerazione dell’intensità del legame affettivo, della durate del rapporto e dell’età della vittima al momento del decesso.
 

Ultimo aggiornamento: 08:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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