Giorgio morì di meningite durante la leva: «Fu vittima del dovere». Mamma Ida vince la battaglia dopo 40 anni

Martedì 5 Aprile 2022 di Angela Pederiva
Mamma Ida e Giorgio Bordignon
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MONTELLO - Poco prima di spegnersi, Giorgio Bordignon la implorò: «Mamma, fai qualche cosa, non è giusto». Per quasi quattro decenni, Ida Susin ha tenuto fede alla promessa fatta a suo figlio in punto di morte, dedicando la propria vita alla battaglia per la giustizia insieme a suo marito Giuseppe, deceduto prima di poter leggere la sentenza della Cassazione che ora mette nero su bianco una verità inappellabile. Quel ragazzo di 22 anni, partito dalla provincia di Treviso per andare a svolgere il servizio militare nei pressi di Napoli, è stato «vittima del dovere», stroncato nel 1985 da una meningite per cui viene sancita «la stigmatizzazione dell'operato della pubblica amministrazione nella gestione igienico-sanitaria della caserma di San Giorgio a Cremano».

Dunque la Corte d'Appello di Venezia dovrà tornare a riunirsi, per accordare a ciò che resta della famiglia di Volpago del Montello i benefìci assistenziali, finora negati dai ministeri dell'Interno e della Difesa.

La storia comincia il 10 ottobre 1984, quando Giorgio Bordignon lascia le pendici del Montello per raggiungere le falde del Vesuvio. «Mio figlio racconterà mamma Ida al Gazzettino, nel corso dei decenni era diplomato in Ragioneria, frequentava il primo anno di Economia aziendale a Venezia. Aveva già esperienza di lavoro». Ma deve ancora fare la naja, perciò dal Veneto viene destinato alla Campania, per il periodo nel Centro addestramento reclute. Dopo quattro mesi, il soldato si infortuna a una caviglia, così va nell'infermeria della caserma per sottoporsi a una visita medica. È lì che avviene il contagio: alcuni suoi commilitoni sono ricoverati per sospetta meningite. Il decesso sopraggiunge il 10 febbraio 1985.

LE UMILIAZIONI
I suoi genitori chiedono di avere giustizia per una tragedia che poteva essere evitata. Ma sono più le umiliazioni che le risposte. «Volevano farci pagare la cassa di legno che avevamo voluto per nostro figlio, dopo avere scoperto che per la truppa era destinata una scatola nera che avevamo rifiutato», confiderà la donna. E ancora, dopo l'ennesimo sollecito della pensione di reversibilità, puntualmente rigettato: «Hanno mandato già per tre volte la Guardia di Finanza in casa nostra, a fare accertamenti. Siccome viviamo in una casa di proprietà, tre stanze, io con mio marito, dicono che non ne abbiamo diritto. È giusto?». Innumerevoli gli scioperi della fame a cui si sottopone mamma Ida, che nel 2000 ha partecipato già a 18 manifestazioni a Roma, insieme ad altre famiglie come la sua.

LA CAUSA
Viene intentata la causa civile contro i ministeri dell'Interno e della Difesa, che rifiutano di indennizzare i coniugi Bordignon «in quanto familiari superstiti» di un militare morto durante la leva. Ma prima il Tribunale di Treviso e poi la Corte d'Appello di Venezia respingono la loro istanza. In particolare nel 2019 i giudici lagunari ritengono che la legge «imponga di conferire siffatta qualifica soltanto nei confronti di eventi legati a un'attività specifica intrinsecamente pericolosa e non anche ad accadimenti derivanti dall'esposizione a un fattore letale». In pratica, spiega la Cassazione, viene sostenuto che «l'evento letale non si era determinato nell'ambito di una precisa missione assegnata al militare di leva, dal momento che questi non svolgeva servizio in infermeria né come guardia ordinaria di vigilanza, in condizioni ambientali di freddo intenso, tali da determinare l'aggravamento del rischio di contagio»: semplicemente Giorgio «si era recato in infermeria come mero paziente e non nello svolgimento di un incarico istituzionale a lui assegnato». Assistiti dall'avvocato Andrea Bava, mamma Ida e papà Giuseppe si rivolgono alla Suprema Corte, lamentando «l'omissione del dovere di sorveglianza sanitaria e di isolamento degli infetti», i quali all'epoca «mangiavano insieme agli altri militari e venivano ricoverati in infermeria con i colleghi non affetti da contagio».

IL RISCHIO
È questa la ricostruzione infine accolta dalla Cassazione: «Nell'impossibilità per il militare in servizio di leva obbligatorio di rivolgersi a strutture sanitarie alternative, egli è stato, di fatto, esposto obiettivamente ad un rischio specifico in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d'istituto». Per gli ermellini, «quella di rivolgersi all'infermeria costituiva una scelta necessitata, non avendo egli nessun'altra possibilità riguardo al permanere o non all'interno dell'infermeria e della stessa caserma». Ma la Corte d'Appello non ne ha tenuto conto, «a meno di non voler considerare fisiologica l'inerzia e la scarsa vigilanza degli organi superiori militari». Proprio quelli che hanno «messo a rischio la salute e la stessa incolumità del militare di leva Giorgio Bordignon, al quale va, pertanto, riconosciuta la qualifica di soggetto equiparato a vittima del dovere». Purtroppo papà Giuseppe non c'è più, mentre mamma Ida è anziana e malata. Ma la promessa fatta a suo figlio, 37 anni dopo è stata mantenuta.

 

Ultimo aggiornamento: 12:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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