Gli stivali venuti dalla luna: il diario del fare Zanatta,inventore dei Moon boot

Domenica 14 Aprile 2019 di Angela Pederiva
Giancarlo Zanatta a sinistra con Klaus DIttrich, ad di Messe Munchen (la Fiera di Monaco di Baviera)
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È stata l'impronta di Buzz Aldrin con Neil Amstrong sul satellite a ispirare l'imprenditore trevigiano Giancarlo Zanatta che 50 anni fa inventò i famosi doposci Moon Boot. L'avventura dell'81enne è ripercorsa nel libro Diario del fare: «Ero affascinato dalle enormi orme da elefante che lasciavano gli astronauti e tra me pensai: oddio che cosa favolosa»
LA STORIA «Ha toccato!», esultò Tito Stagno. «No, non ha toccato...», replicò Ruggero Orlando. Il battibecco fra i due celebri cronisti, nella leggendaria diretta del 20 luglio 1969 in cui l'allunaggio di Apollo 11 venne annunciato dall'uno con 56 secondi di anticipo e dall'altro con 10 secondi di ritardo, contribuì a confondere i telespettatori. Questione di audio, ma anche di video: «L'immagine era annebbiata dalla troppa emozione», ricorda Giancarlo Zanatta, che pure quella sera era incollato allo schermo della tivù. Ma tre mesi dopo l'imprenditore trevigiano, sostando in una stazione ferroviaria degli Stati Uniti, fu folgorato da una foto assai più nitida: «Guardando quell'immensa diapositiva ad alta definizione che svettava su un'intera parete, rimasi quasi intontito e mi ci vollero circa cinque minuti per metabolizzare la scena». Era l'istantanea dell'orma di Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla Luna, visto che la prima impronta di Neil Armstrong non era stata immortalata, ma tant'è: con quell'illuminazione tutta veneta cominciava un'avventura imprenditoriale che dura da 50 anni, l'epopea dei Moon Boot, i doposci più famosi (e venduti: oltre 22 milioni di paia) nella storia mondiale del settore calzaturiero.

IL DIARIO L'aneddoto è contenuto nel Diario del fare, il volume con cui Zanatta racconta la sua vita, le sue aziende, la sua famiglia, i suoi successi, rinunciando al riserbo, ma non al pragmatismo: «Io non sono mica uno scrittore, io faccio scarpe». Una precoce passione familiare, figlia di un padre (Oreste) che non avrebbe mai voluto vederlo diventare a sua volta calzolaio e nipote di un nonno (Angelo) che avrebbe fatto il contadino, se un giorno nel bosco non fosse stato gravemente colpito alle gambe e dunque obbligato a virare su un lavoro sedentario. «Da quel ramo, da quell'incidente, da quel cambio di prospettiva, iniziano la mia e la nostra storia», riflette l'81enne con la serenità del predestinato: «Quando hai sei o sette anni e la bottega sotto casa, cosa fai? Sei sempre lì che guardi. E il mestiere, intanto, ti entra nel sangue». Ma pure nelle mani, se è vero che già a quell'età il piccolo Giancarlo armeggiava con le tomaie, per estrarre i chiodi che le fissavano sulle forme, in modo che potessero essere riutilizzati nella piccola ditta dei suoi: «Dopo essermi messo sulle ginocchia un grembiule, gli appoggiavo sopra un sasso del Piave piatto e liscio e sopra al sasso sistemavo il chiodo appena recuperato; poi lo battevo con il martello per raddrizzarlo, facendo attenzione che la martellata non finisse prima sulle mie dita».

DA PICCOLI A GRANDI Dita che, appena ottenuto il diploma di modellista-tagliatore a Milano, «finirono completamente fuori uso, ricoperte da spaventose piaghe e orrendi ematomi», nei sei giorni che il giovane apprendista trascorse incidendo con un coltello gli anfibi militari alla Nordica di Montebelluna, proprio l'azienda che avrebbe rilevato quasi mezzo secolo dopo. Certo, allora Zanatta non poteva ancora saperlo, ma forse un po' se lo sentiva già: «Non sono tagliato per lavorare alle dipendenze di qualcuno. Dobbiamo partire e metterci in proprio», rammenta di essersi sfogato con il fratello Ambrosiano, al ritorno a casa dopo quella prima settimana. I due partirono all'inizio degli anni 60 con le scarpe da lavoro, qualche pedula, i sandali da estate. Quella di Giavera del Montello era una piccola fabbrica da 50-200 paia al giorno, ma dal nome già grande perché identitariamente innovativo: Tecnica, capofila di un gruppo che nel corso dei decenni, con tutti i suoi marchi (da Blizzard a Nordica, appunto, da Lowa a Rollerblade), sarebbe diventato il più grande produttore europeo di scarpe outdoor e il primo produttore mondiale di scarponi da sci.

LA GIGANTOGRAFIA C'è una foto in bianco e nero scattata nel 1948, nel libro il cui ricavato sarà interamente devoluto alla ricerca contro il cancro, che mostra Giancarlo bambino con il cuginetto in spiaggia a Jesolo, seduti su un piccolo aereo. Settant'anni dopo, Zanatta fa due conti e annota a penna: «Ho volato in alto per 25.550 giorni. In uno di questi, passando dalla luna, ho inventato qualcosa di unico e speciale». Quel giorno cadde alla fine di ottobre del 1969, periodo di trasferte negli Usa. «Durante uno di quei viaggi, mentre mi trovavo alla Grand Central Station di New York, in attesa del treno per Westport, Connecticut scrive notai che nell'atrio dell'edificio troneggiava una gigantografia illuminata, un'enorme diapositiva colorata che ritraeva l'allunaggio di Armstrong e di Aldrin. Mi soffermai sui due personaggi, sui loro scafandri, sui loro stivali che lasciavano al suolo enormi impronte da elefante e dentro di me pensai: Oddio che cosa favolosa, che cosa assurda, che cosa pazzesca! Ero stordito». Non così tanto, però, da evitare di immaginare subito «una scarpa di uso comune che avesse le stesse sembianze avveniristiche di quello stivale»: i Moon Boot. L'imprenditore cercò e trovò un nylon pesante, resistente all'acqua e siliconato all'interno, poi lo imbottì di schiuma di poliuretano, ottenendo una calzatura incredibilmente ambidestra. I familiari erano perplessi, ma Giancarlo si impuntò. Così vennero realizzati due prototipi: l'uno rosso, l'altro blu da bambino. A una fiera del settore nel 1970, Zanatta quasi si vergognava ad estrarli dalla propria ventiquattr'ore, ma in una sola domenica ne vendette mille paia. E poi seimila entro la fine dell'anno, ventimila in quello dopo, un milione nel 1984, settantamila solo in Emilia Romagna durante la grande nevicata del 1985. Fu necessario comprare un nuovo terreno e costruire un altro stabilimento, tale era la coda dei furgoni in attesa delle consegne.

L'ICONA Nel ripensarci ora, l'industriale la fa facile: «È stata una felice e quanto mai opportuna combinazione di tempismo, fosforo e fortuna». Ma è difficile non vedere del genio, dietro una creazione esposta nel 2000 al Louvre di Parigi fra i cento oggetti più significativi nella storia del costume novecentesco, entrata nel 2018 a titolo permanente nella collezione del MoMA di New York, citata nello Zingarelli come nome proprio che ha assunto anche la funzione di locuzione comune: moon boot, con le iniziali minuscole, cioè doposci per antonomasia, come accade rare volte ai marchi commerciali, tipo nutella per la crema di cioccolato e rimmel per il mascara da ciglia. Invece i Moon Boot con le maiuscole sono un'opera «dotata di valore artistico» e dunque tutelata dalla legge sul diritto d'autore, secondo una sentenza del Tribunale di Milano del 2016, per il quale questa invenzione «ha profondamente mutato la stessa concezione estetica dello stivale doposci, divenendo vera e propria icona del design italiano e della sua capacità di fare evolvere in modo irreversibile il gusto di un'intera epoca storica in relazione agli oggetti d'uso quotidiano». Da Paul Mc Cartney alle hostess di Alitalia, molti hanno indossato i Moon Boot per camminare sulla neve come sulla luna. Ma ora l'ultima sfida di Giancarlo Zanatta, affidata al figlio Alberto, è di farli tornare sulla terra, destagionalizzandoli come scarpe da città.

 
Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 10:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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