Michele Foschini: «La mia vita tra i fumetti». La sfida di "Bao", la casa editrice amata dagli artisti

Domenica 5 Febbraio 2023 di Chiara Pavan
Michele Foschini nel suo ufficio milanese della Bao Publishing

TREVISO - Più che un genere, il fumetto è un linguaggio che va capito e interiorizzato: «Le parole non spiegano e le immagini non dicono», in fondo è «un gioco costante di non detti: le azioni avvengono nello spazio bianco tra due vignette, è come una distanza tra gli attimi, sta al lettore colmarla». Michele Foschini parla, risponde, controlla pc e telefono - è in partenza per la Fiera di Angouleme, in Francia - e tutto quasi in contemporanea, senza mai perdere il filo del discorso. E il sorriso gentile. C’è fermento tra le stanze colorate e accoglienti della “Bao Publishing”, una delle sigle più dinamiche e in salute nel panorama dell’editoria italiana che Foschini ha ideato e fondato a Milano nel 2009 con Caterina Marietti.

Una scommessa, all’epoca. «Siamo partiti con l’idea di pubblicare 5 testi all’anno, una sorta di “boutique”, e invece ci è andata bene. Siamo arrivati quasi a 50». Del fumetto Foschini sa davvero tanto e sul fumetto spazia a tutto campo: traduce, cura, suggerisce, scrive, controlla.

Classe 1976, trevigiano, diploma al liceo da Vinci di Treviso e “drop out” di Ca’ Foscari, lingue e letterature straniere, che in realtà domina con sicurezza, Foschini lascia la Marca nel 2005 per Milano, «ero sceneggiatore free lance Disney», e nel frattempo si dedica alla traduzione di fumetti e romanzi. Poi l’incontro con Caterina Marietti, la nascita di Bao, la felice intuizione di dare fiducia, nel 2011, a Zerocalcare, destinato a diventare uno dei più importanti fumettisti italiani, e le soddisfazioni per gli ottimi risultati degli artisti pubblicati, da Ortolani a Bevilacqua e Vanzella, il duo Radice & Turconi, Alice Berti, la pluripremiata Jen Wang, Daniel Clowes, per non parlare dell’autobiografico “Sono ancora vivo” di Roberto Saviano.

Il primo incontro col fumetto?

«Da adulto. E non grazie a Topolino. Sono stato un adolescente Bonelli, cresciuto con Mister No. Poi sono passato ai supereroi, soprattutto Dc, sono della scuola Batman, e col tempo i gusti sono maturati. Ma mi sono sempre piaciuti i fumetti in lingua originale, anche perché li traducevo, e così ho avuto la fortuna di conoscere personalmente moltissimi artisti. E questo ci ha aiutato con la casa editrice».

E con Caterina?

«Siamo nerd del fumetto, ci siamo contaminati: passavamo le vacanze tra le fiere in Europa, scoprivamo cose belle e abbiamo visto cosa mancava in Italia. Da lì il progetto editoriale, una casa editrice dalla parte del lettori. Che “educasse” anche i giovanissimi, ci piace questa sorta di opera di “evangelizzazione”».

I vostri artisti lavorano molto in sintonia con voi.

«I libri fumetti si costruiscono, non arrivano già fatti. E non c’è una ricetta che vale per tutti. Lavoriamo con gli autori a rinforzo positivo. La copertina è il punto in cui arte e commercio si uniscono: se non litighiamo, possiamo ipotizzare una lunga vita assieme».

Bao si è imposta nel panorama editoriale, sfida non facile.

«È una realtà che è cresciuta nel tempo, ora conta su 12 dipendenti. All’inizio sapevamo che c’era molto da fare. Intorno al 2013-2014 si è visto che il fumetto veniva accettato, e nel 2018-19 abbiamo capito che l’azienda poteva muoversi con le proprie forze. Non era così scontato».

Com’è andata con Zerocalcare?

«L’ha scoperto Caterina, è lei la talent scout. Ma siamo stati fortunati, ci capiamo da sempre, si va nella stessa direzione. È aperto e ha imparato a fidarsi di noi. Zero ha una marcia in più e non è replicabile».

E con Saviano?

«Un lavoro originale ma complicato. Lui vive sotto scorta, mentre l’illustratore è israeliano, di Tel Aviv: si sono incontrati 4 volte e non è stato semplice».

Come vi dividete in compiti?

«Caterina scova disegnatori, io poi esamino. Ma c’è anche tutta la fase del mercato da seguire, la pubblicazione, la libreria e i librai, la comunicazione. Cerchiamo di controllare tutto».

E i social?

«Io seguo Fb e Caterina Instagram, sono pubblici diversi. Ora siamo sbarcati su Tik Tok, altro linguaggio per proporre le nostre idee in video».

E i libri digitali? Funzionano?

«È diventata una fetta importante e va bene: ma chi legge in digitale spesso poi compra il cartaceo».

Chi sono i vostri lettori-tipo?

«Non sono bambini, anche se abbiamo scoperto che Zerocalcare ha un lettore appassionato di 9 anni; il resto si aggira sui 25/40 anni, equamente divisi tra maschi e femmine. Ciò che conta per noi è non dover nascondere la propria identità. E i lettori poi ci seguono. Uno di loro è diventato il nostro avvocato. Molti si innamorano ai firmacopie e poi si sposano, invitandoci ai matrimoni. Amiamo questo senso di comunità».

Come vive a Milano?

«Ci sto benissimo».

E Treviso?

«Ci torno a per trovare la mia famiglia e i miei amici, ma la apprezzo a piccole dosi, forse perchè la sento un po’ stretta, anche se le riconosco una certa vitalità culturale. Mi piace molto il Treviso Comic Book Festival, ormai un appuntamento fisso».

Ha una moto Guzzi chiamata “Billy Idol”.

«La moto è il mio momento di meditazione. Non puoi rispondere al telefono. Così esco e vado fuori Milano, ai laghi».

La sua giornata tipo?

«Arrivo alle 8 e mezzo ed esco alle 18, se posso non lavoro dopo cena».

Lei fa tutto alla Bao.

«Ho ancora la mentalità da start up, in cui faccio tutto anche se so delegare. Pure i pacchi dell’e.commerce. Mi piace sapere tutto, capire come sono fatte le cose, mantenere un contatto diretto con l’attività. Non puoi essere un editore se non sai niente di stampa, di carta, di grafica, devi conoscere i materiali, la scienza dei materiali per gestire il prodotto. E molto spesso quando ci sono situazioni complicate, sono io che faccio uscire tutti vivi dall’imprevisto». 

Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 19:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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