Sparò al bandito, pena definitiva per Zen, la Cassazione lo condanna a 9 anni e 6 mezi

Sabato 3 Giugno 2023 di Valeria Lipparini
Massimo Zen e l'avvocato Panico

VEDELAGO-CITTADELLA - La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per Massimo Zen, la guardia giurata 52enne di Cittadella, che il 22 aprile del 2017 sparò, ferendo a morte, a Barcon di Vedelago, il giostraio Manuel Major, 36enne, che stava fuggendo in auto dopo aver realizzato una serie di colpi ai bancomat della provincia. La pena a nove anni e sei mesi per omicidio volontario è quindi definitiva e per Zen si aprono le porte del carcere. La Cassazione ha, in sostanza, confermato quanto avevano deciso i giudici della Corte d’Appello di Venezia, mentre è stato respinto il ricorso della difesa che puntava sulla tesi della legittima difesa.

Nel computo della pena a carico della guardia giurata della Battistolli, erano state tenute in conto le attenuanti generiche e lo sconto previsti per il rito abbreviato in primo grado, pari ad un terzo. Per la provvisionale, è stata cofnermata la cifra di 180mila euro da versare ai familiari del giostraio, costituitisi parti civili con l’avvocato Fabio Crea.

IL FATTO

Era la notte tra il 21 e il 22 aprile 2017 a Barcon di Vedelago. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, allertato dai colleghi Manuel Cancarello e Christian Liziero, Zen aveva apprese che una banda stava scappando da una serie di incursioni contro gli sportelli automatici. Il dipendente del gruppo di vigilanza Battistolli posizionò l’auto di servizio di traverso alla strada, per sbarrare il transito alla Bmw rubata la sera prima, su cui Manuel Major viaggiava con Jody Garbin ed Euclide Major. All’arrivo della vettura, la guardia esplose tre colpi di Glock, ad altezza d’uomo stando ai rilievi. Uno di questi trapassò il parabrezza sul lato del passeggero e centrò in testa il giovane alla guida, poi spirato il 25 aprile. Per quella vicenda sono sotto processo anche due colleghi di Zen, Manuel Cancarello e Christian Liziero, 48 e 49 anni, entrambi residenti a Paese e dipendenti della Battistolli: il primo è accusato di favoreggiamento per aver piazzato sul luogo del delitto una pistola giocattolo per “avvalorare” la versione di Zen, e tutti e due per interferenza sulle comunicazioni dei carabinieri per aver utilizzato uno scanner per carpire le loro conversazioni durante l’inseguimento in corso dell’auto della vittima, che viaggiava assieme a due complici.

LA VERSIONE

Secondo quanto sostenuto dalla difesa, quello di Zen «non fu un omicidio volontario, molti elementi obiettivi dimostrano come Zen abbia cercato di difendersi - aveva affermato l’avvocato Panico annunciando il ricorso in Cassazione - A cominciare da due dati: la dinamica del tentato investimento da parte dei criminali in fuga e la presenza di polvere da sparo nella loro auto, che corrobora il racconto di un colpo d’arma da fuoco sparato contro di lui». Tesi che però non è stata accolta dai giudici che hanno stabilito che Zen ha sparato per uccidere, e non per legittima difesa. All’epoca dei fatti era stato anche fondato un comitato, “Io sto con Zen”, per sostenerlo nelle spese: «Ci stava difendendo, aiutiamolo a difendersi». Tre mesi di “mi piace” su Facebook, poi più nulla. L’avvocato Fabio Crea commenta: «Siamo soddisfatti perchè è stata confermata l’ipotesi iniziale della Procura che, cioè, si sia trattato di omicidio volontario. Nel corso dell’udienza in Cassazione, il procuratore generale aveva chiesto l’annullamento con rinvio. Ci siamo apposti sostenendo la piena prova della volontarietà dell’omicidio. E la Cassazione ha confermato la pena». Il legale prosegue: «Sono trascorsi sei anni dall’omicidio e le parti non sono state mai risarcite. Ora che si è chiusa la vicenda penale, citeremo l’imputato stesso e la Battistolli perchè si possa definire anche la fare risarcitoria con il versamento dei 180mila euro previsti dalla provvisionale». 

Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 11:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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