Dopo Lol, Mago Forest torna in città: «Vivere a Treviso è magico e sono vicino a Venezia. Il mio primo palco? La cattedra che mi lasciavano i prof»

Mercoledì 18 Gennaio 2023 di Chiara Pavan
Mago Forest vive a Treviso e visita spesso Venezia. L'intervista sulla sua carriera

TREVISO - Ama le entrate ad effetto: come poco tempo fa, a “Lol”, mentre “cavalcava” un cammello gonfiabile seguendo un navigatore bippante. Oppure in un vecchio “Mai dire gol”, quando avanzava in studio con un paio di pantaloni «a vita così bassa che più bassa non si può» o con una sorta di piercing all’ombelico «che mi attraversava la pancia, fissato su un bullone dietro la schiena». Difficile resistergli, Mago Forest è ben più di una «mitragliatrice di battute» (parola dell’avversario Frank Matano): i suoi numeri di magia, spesso al confine col demenziale, sono esilaranti piroette nella fantasia, sempre pronte a spiazzare. «Mi piace attirare l’attenzione: l’ingresso è come l’incipit di uno scrittore, se parti bene, sei già avanti». Michele Foresta, alias Mago Forest, vero protagonista dell’ultimo “Lol-Christmas edition” su Prime, ha sempre saputo di possedere un talento in più, sin da quando frequentava le scuole a Nicosia, in Sicilia: «Alle medie mi chiamavamo Pierino, come quello delle barzellette. Alle superiori, quando mi dovevano interrogare, ero più bravo a far ridere i compagni che a rispondere ai prof. Spesso erano proprio i prof a chiamarmi per fare la loro imitazione».
Il suo primo palco?
«La cattedra che mi concedevano i docenti. Alcuni di loro avevano le prime radio libere, mi hanno proposto di aiutare i dj a Radio Nicosia. Poi il preside mi ha trovato un lavoro in albergo. Ma mi ha detto: “Non stare qui, vai a studiare da qualche parte, puoi fare tutto tranne che il ragioniere. Mi sono diplomato con 36 e lode e bacio in fronte a Nicosia, dove per altro mi hanno appena dato la cittadinanza onoraria».
Ha lasciato la Sicilia per Milano, ora vive a Treviso: galeotta fu la convention trevigiana in cui incontrò sua moglie Angela.
«Mi piace la dimensione di Treviso, me la giro a piedi, me la godo, è molto vivace anche dal punto vista culturale. E poi è a due passi da Venezia. A volte prendo il treno solo per vedere il ponte della Libertà. Arrivo in stazione, vedo le bricole, respiro l’aria di laguna e torno. A volte prendo la macchina e mi perdo».
E dove va?
«Vago. Nell’ultimo giro mi sono perso in laguna, sono arrivato in quella meraviglia di Lio Piccolo, e poi Lio Maggiore. Mi piace anche andare passeggiare lungo il mare a Jesolo. Mio suocero è un appassionato d’arte e mi fa vedere cose belle, come le Gallerie delle Prigioni a Treviso. E poi a Treviso si mangia bene, adoro il radicchio e le sue declinazioni. E il prosecco. A Treviso incontri sempre qualcuno che ti ferma e ti offre da bere. I trevigiani sono affettuosi».
Ormai è milanese-trevigiano.
«Sono siculo lombardo-veneto».
Come nascono i suoi sketch? La scintilla?
«Non so come scocca, Edison diceva che l’1 per cento è l’ispirazione, il resto è “traspirazione”, ossia allenamento, studio. Io sono uno che prende appunti, giro sempre con i fogli piegati in quattro e scrivo. Butto giù tutto quello che mi colpisce, dai negozi di ferramenta, i miei preferiti, alle mostre d’arte, oppure le cose che sento dire alla gente mentre cammina. Sono una spugna che assorbe».
Crea anche i suoi oggetti di scena.
«Sono figlio di un carpentiere, mio papà ha 95 anni, ho preso da lui la manualità. Mi costruiva giocattoli in legno quando ero bambino. Mi piace costruire i miei oggetti, quando è possibile, oppure trasformarli. Raramente uso una cosa già fatta. D’altra parte l’oggetto del mago deve sempre essere inarrivabile, unico. Anche se brutto, io me lo faccio».
Ma da piccolo aveva la scatola del Mago Silvan?
«Come no! E non solo, ho ancora il manuale del Mago Silvan, edito da Mondadori. Un mito per me, poi negli anni l’ho anche conosciuto e frequentato, ci vediamo ai congressi. È un pozzo di cultura, non solo magica. Esempio per tutti».
Lei è un mago sui generis...
«È la mia inclinazione verso il comico: mi trovo meglio nei panni di mago che combina guai. Ma per fare parodia devi conoscere bene quello che sai parodiando. Mi informo, frequento i congressi. Quest’estate sono stato in Danimarca e cercavo negozi di magia, ho comprato un sacco di cose. È lì che trovi tante sorprese. Lo dico anche a me stesso, per trovare le novità devi andare nei negozi d’antiquariato o ai mercatini delle pulci».
Eppure sono tempi tecnologici e veloci, tutto cambia in fretta. La “magia” ne risente? 
«Quando ti trovi davanti a un bravo mago o bravo performer, ti dimentichi che stiamo vivendo in un mondo tecnologico e digitale e ti lasci trasportare: si torna bambini, ci si lascia affascinare, dopo tutto la magia sta negli occhi di chi guarda».
Prova le gag con sua moglie?
«Mia moglie è assuefatta, ogni volta che provo qualcosa mi dice: “me l’hai già fatto”. Ma è fondamentale, mi fa stare con piedi per terra, è critica, il suo giudizio è obiettivo».
Tornerà “Mai dire gol” per il trentennale? 
«È un’idea di cui si sta parlando da un po’ di tempo, lo spero davvero».
La Gialappa’s ha sempre accolto grandissimi talenti.
«Sono un ammiratore della Gialappa’s, è stata una gran fortuna lavorare. C’è sintonia, e poi siamo amici: sono stato testimone di nozze di Marco Santin, Giorgio Gherarducci l’ho sposato io con la fascia del sindaco Sala. E temo sarà poi Carlo (Taranto) a darmi l’estrema unzione. Quando hanno creato “Mai dire gol” erano anni bellissimi, c’erano Gene Gnocchi, Teo Teocoli, Aldo Giovanni e Giacomo, Antonio Albanese.

Un giorno ero in giro con la Gialappa’s e una ragazzina mi ha fermato: io le ho presentato la band visto che non si vedono mai le loro facce e lei sa che ha detto? Grazie per averci insegnato a ridere». 

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 23:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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