Rete ferroviaria, infiltrazioni mafiose nei cantieri. Nei guai i titolari della Cenedese di Silea

Sabato 12 Febbraio 2022 di Giuliano Pavan
Rete ferroviaria, infiltrazioni mafiose nei cantieri. Nei guai i titolari della Cenedese di Silea
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TREVISO - Quindici persone agli arresti, tra carcere e domiciliari, 6,5 milioni di euro di beni posti sotto sequestro e altre 21 persone iscritte nel registro degli indagati, tra cui Luigi e Andrea Cenedese, padre e figlio di 69 e 29 anni di Silea (Treviso), titolari della Cenedese Spa. Sono gli unici due imprenditori veneti finiti nel mirino della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano nell'ambito di un'inchiesta su un'associazione a delinquere di stampo mafioso che, attraverso gli appalti legati all'armamento e alla manutenzione della rete ferroviaria nazionale, avrebbe commesso una serie di reati di natura fiscale e fallimentare favorendo la cosche della ndrangheta Nicosia e Arena di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.


L'ORDINANZA

Il sostituto procuratore Bruna Albertini aveva chiesto l'esecuzione di misure cautelari a carico di tutti e 36 gli indagati, tra cui appunto Luigi e Andrea Cenedese, ma il gip di Milano ne ha disposte 15. Il pm aveva ipotizzato, ad esempio, gli arresti domiciliari per Maria Antonietta Ventura, presidente del cda del Gruppo Ventura che si occupa di costruzioni ferroviarie e che era stata candidata da centrosinistra e Cinque Stelle alla presidenza della Calabria e la scorsa estate si era ritirata dalla corsa, e il carcere per Alessandro ed Edoardo Rossi, ai vertici dell'omonimo gruppo, anch'esso al centro delle indagini, che lavora pure in Svizzera e nel Nord Europa. Tra le 11 persone finite dietro le sbarre ci sono invece i quattro fratelli Aloisio, formalmente imprenditori ma «contigui alla ndrangheta», scrive il gip, che sottolinea poi come la criminalità organizzata si sia infiltrata «in uno dei settori strategici del Paese, ovvero il funzionamento delle rete ferroviaria».
L'operazione eseguita ieri dai nuclei di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Milano e di Varese prende spunto dal sospetto coinvolgimento di colossi del settore delle costruzioni e della manutenzione delle linee con subappalti affidati a società riconducibili ai clan, e da un sistema di incassi in nero per sostenere gli affiliati detenuti e le loro famiglie.

Non solo: si ipotizza pure che gli operai al lavoro nei cantieri non avessero alcuna competenza professionale e lavorassero in condizioni di sfruttamento. Dietro a tutto, un giro di fatture per operazioni inesistenti che fruttavano denaro contante alle cosche.


RFI PARTE LESA

Secondo gli inquirenti c'era un piano di spartizione in aree di competenza dell'intero territorio nazionale da parte delle imprese che prendevano gli appalti per i lavori da Rete ferroviaria italiana, che risulta essere parte lesa. Gruppi imprenditoriali che gestivano in regime di sostanziale monopolio l'aggiudicazione delle commesse con le loro società appaltanti, come Gcf (controllante della Cenedese Spa) del Gruppo Rossi e la Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie. Le società che si aggiudicavano gli appalti, poi, si rapportavano, con la formula del distacco della manodopera, col gruppo Aloisio-Giardino e con le numerosissime società a loro riconducibili e intestate a prestanome. Così gli operai delle aziende di comodo in odor di ndrangheta venivano messi a lavorare nei cantieri ferroviari in varie regioni per le grandi società. Un meccanismo che sfruttava gli «strumenti giuridici astrattamente leciti che, secondo la prospettazione degli inquirenti - scrive il gip - vengono utilizzati per aggirare i divieti in materia di subappalto, per pagare meno imposte, per garantire alle imprese coinvolte il procacciamento di fondi extracontabili». Fondi neri usati anche per foraggiare le famiglie di ndranghetisti arrestati, per i quali erano pronti pure falsi contratti di assunzione.

Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 08:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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